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Ecco il prezzo delle riforme zoppe

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DALLE BANCHE ALLA FLESSIBILITÀ

Ecco il prezzo delle riforme zoppe

Quando Mario Draghi dice che «serve chiarezza sul futuro dell’Unione monetaria europea» e che «la politica monetaria non può affrontare i problemi strutturali dell’Eurozona», non lancia solo un allarme. Lancia un forte monito ai governi europei.
E non è un caso che per lanciare il suo appello abbia scelto proprio la riunione del Consiglio europeo sull’immigrazione: l’emergenza profughi rischia infatti di mettere per l’ennesima volta in crisi quella gigantesca opera incompiuta che si chiama Unione europea.
Mario Draghi sa che la politica monetaria non convenzionale, soprattutto in Europa, non può risolvere i problemi. Può comprare tempo, ma nulla di più. Basta guardare gli Stati Uniti per capire il motivo: nell’unica parte del mondo dove il quantitative easing ha effettivamente prodotto risultati concreti, la banca centrale non ha lavorato da sola. Mentre la Federal Reserve stampava denaro, infatti, lo Stato faceva la sua parte aumentando il deficit pubblico dal 2,8% di fine 2007 al 12,4% del 2009. Insomma: stampare denaro non basta, se le politiche di bilancio non remano dallo stesso verso. Se la politica, con le riforme strutturali, non fa la sua parte. Se in Europa non vengono completati quegli edifici lasciati, come metaforici ecomostri, a metà.

È incompiuta e contradditoria, ad esempio, la politica sulle banche. Da un lato la Bce annuncia nuovi maxi-prestiti al sistema bancario, ben consapevole che gli istituti creditizi sono gli unici “rubinetti” da cui le Pmi possono ottenere la liquidità per vivere. In Europa le imprese non si finanziano emettendo obbligazioni, come negli Usa: da noi se le banche non riaprono i “rubinetti”, le imprese muoiono di sete. La Bce, proprio per questo motivo, è addirittura disposta a prestare denaro alle banche a tassi negativi, pur di convincerle a erogare finanziamenti. Contemporaneamente, però, l’”altra” Bce (quella che si occupa di Vigilanza) pone alle stesse banche così tanti “paletti” e requisiti prudenziali, che di fatto ne ingessa l’attività. Persino una fusione auspicata dalla stessa Bce, come quella tra Banco Popolare e Bpm, ormai sembra essere moribonda per via proprio delle condizioni poste dalla Vigilanza europea.
Per non parlare dell’Unione bancaria, vera grande opera incompiuta su cui Mario Draghi non perde occasione di chiedere passi avanti. Da un lato è stato introdotto il principio del bail-in (secondo cui non sono più gli Stati a salvare le banche in crisi ma i loro azionisti e obbligazionisti), ma dall’altro non è stata varata la garanzia europea sui depositi fino ai 100mila euro. Senza una forte e credibile assicurazione comune, qualunque crisi bancaria rischia così di creare panico e fughe dai conti correnti. L’Unione Bancaria era stata varata per rafforzare gli istituti creditizi e per ridurre il loro legame incestuoso con gli Stati, ma in questa versione “monca” rischia di raggiungere il risultato opposto. Cioè maggiore vulnerabilità, come denunciato con forza dalle Borse europee all’inizio del 2016.

Sulla politica di bilancio degli Stati, il discorso è analogo. La Commissione europea sembra guardare ai conti pubblici come dei giganteschi fogli Excel, dove cambiando uno “zero virgola” da una parte si modifica uno “zero virgola” dall’altra. Quando Draghi dice che «serve chiarezza» sul futuro dell’Unione, probabilmente intende anche questo: serve un vero coordinamento delle politiche fiscali per rendere efficace il suo “bazooka”. Nel dibattito europeo si discute da tempo sull’opportunità di creare un ministero delle finanze Ue. Una figura che dovrebbe avere almeno due compiti: gestire le risorse comuni per la risoluzione delle crisi e assicurare il coordinamento delle politiche di bilancio dei diversi Paesi membri. Il ruolo ibrido della Commissione europea, che ormai è diventata solo il giudice degli zero virgola, rischia invece di essere un freno. Per non parlare del problema dei debiti pubblici, vero grande fardello di molti Paesi: tutti i tentativi di creare forme varie di Eurobond (cioè di mettere in comune almeno parte dei debiti) sono falliti prima di discuterne concretamente.
Ma il vero problema dell’Eurozona, che la rende un’opera davvero incompiuta, è la carenza di legittimazione democratica. In molti Stati, non è stato chiesto il voto dei cittadini per entrare nell’euro. Questo ha scollato l’Europa dai cittadini, trasformandola in una mera associazione tra Stati. Che sia la crisi greca (che come un fiume carsico tornerà a far parlare di sé), che sia l’ondata migratoria (che già ha messo in discussione Schengen), che sia qualche crisi bancaria: qualunque sia la “miccia”, l’Unione monetaria così com’è rischia di far esplodere la polveriera. Di fomentare gli estremismi e le forze centrifughe. Quando Draghi chiede «chiarezza sul futuro», probabilmente chiede questo: una visione.

m.longo@ilsole24ore.com

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