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Ora i governi non hanno più alibi

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EURO E POLITICA

Ora i governi non hanno più alibi

«Bisogna fare chiarezza sul futuro dell’eurozona». Mario Draghi è abituato a misurare le parole. E a risparmiarsele appena può. Se parla ai giornalisti per lanciare un avvertimento forte ai Governi europei, a margine della sessione economica del vertice Ue di Bruxelles, non è certo per caso.
L’iniziativa è irrituale per il presidente della Bce. Il messaggio che trasmette con quella frase rischia di fare il paio con il famoso «whatever il takes» del 27 luglio 2012 con cui mise fine alla fase più acuta della crisi dell’euro. Questa volta è diverso: la crisi sembra meno manifesta e tumultuosa (per ora?) ma è almeno altrettanto grave. E anche più pericolosa. Nonostante alcuni segnali di miglioramento nell’economia, ha spiegato Draghi ai leader europei, i rischi puntano al ribasso e si sono intensificati da dicembre: per questo la Bce ha varato un forte pacchetto di impatto. La politica monetaria che ha sostenuto la ripresa in questi anni non può però affrontare le debolezze strutturali di base dell’economia europea. Per questo servono riforme che aumentino domanda, investimenti pubblici e meno tasse. «Ancora più importante delle riforme però è la chiarezza sul futuro della nostra unione monetaria». Dove si annuncia una lunga fase di tassi bassi.
La Bce ha fatto, sta facendo e farà la sua parte per affrontare qualsiasi evenienza. Ma i Governi dell’eurozona devono fare la loro. In fretta. Sono loro il vero tallone d’Achille del sistema. E non solo perché regolarmente assorbiti da altre emergenze, che siano Brexit o i rifugiati. E non solo perché la sfida dell’indispensabile rafforzamento della governance dell’euro, lanciata nel giugno scorso con il rapporto dei 5 presidenti, è di fatto restata lettera morta, se ne riparlerà se andrà bene nel giugno prossimo.

E non solo perché, da mesi ci provano, ma Francia e Germania non riescono a mettere insieme una proposta congiunta sulla fase 2 dell’Uem. Ma anche e soprattutto perché, nella distrazione generale, la crisi dell’euro e della sua economia che non cresce abbastanza rischia di trasformarsi in una malattia strutturale. Già nel prima decennio della moneta unica, invece di convergere, le sue economie hanno cominciato a divergere, con l’Italia ipnotizzata dalla manna dei tassi bassi, Spagna e Irlanda elettrizzate dalla bolla immobiliare. Risultato, le economie più deboli del sistema non si sono riformate e l’asincronia di fondo delle politiche economiche nell’area si è tradotta nella graduale polarizzazione delle strutture economiche nazionali, con i tedeschi tutti proiettati nella ricerca di competitività e molti altri a fare le cicale. Poi è arrivata la grande crisi: il modello tedesco si è imposto a tutti con le riforme del fiscal compact & Co. e le cicale, sotto attacco dei mercati, sono state costrette a ingoiarle. Ma non appena l’emergenza è rientrata grazie a Draghi nel 2012, la tensione nei Governi è calata. Sono risorte le visioni nazionali di politica economica, favorite dal fatto che il policy mix rigorista alla tedesca ha carburato recessione. Tutti i Governi che hanno battuto aiuti anti-crisi e messo in atto le condizioni per riceverli sono stati bruciati alle elezioni: dalla Grecia alla Spagna, dal Portogallo fino all’Irlanda. Allievi modello come gli spagnoli e i portoghesi ora predicano l’anti-rigore, con gli irlandesi. Francia e Spagna sono in deficit eccessivo e non se ne preoccupano più di tanto. L’Italia cavalca la battaglia della flessibilità esasperata. Tedeschi e nordici fanno muro, arroccati nello loro cittadella in cui la crescita è nazionale ed è il premio delle riforme. Il resto sono chiacchiere e rischi da non mutualizzare finchè non saranno ridotti. L’unione bancaria zoppa insegna. Se questo è il quadro e queste le divergenze culturali, di strutture e di interessi politici ed economici, se questa è la crisi di fiducia intra-europea, è ancora possibile elaborare una strategia comune per rafforzare la governance dell’euro? È questo il dramma silenzioso che si consuma in questi mesi. Questa è la ragione per cui i progetti di maggiore integrazione non volano. Si fa finta di niente e si prende tempo. Draghi ieri ha detto basta perché questa situazione non può reggere e anche il più generoso dei Qe non potrà mai sanarla.

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