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Una legge tra limiti e contraddizioni

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Italia

Una legge tra limiti e contraddizioni

Da oggi si passa ai fatti. E la legge sull'omicidio stradale, in vigore dalla mezzanotte scorsa, mostrerà limiti e contraddizioni. Ma probabilmente a vederli, accorgendosi che un sistema come quello italiano non può permettere un livello di severità come quello promesso dalla norma, saranno solo gli addetti ai lavori e gli sventurati che saranno coinvolti in un incidente mortale.

Infatti, da mezzanotte la palla è passata dalla politica, che questa legge l'ha votata, a poliziotti, magistrati, periti e avvocati che dovranno misurarsi ogni giorno con la sua fattibilità concreta. Come sempre, lo faranno lontano dai riflettori dei media, che mai come stavolta la politica ha voluto su di sé: un paio di settimane fa, in occasione di un atto di pura routine come la sua firma sul testo definitivo appena approvato dalle Camere, il premier ha persino organizzato una cerimonia con tanto di foto di gruppo con le associazioni che più hanno spinto per introdurre il reato di omicidio stradale. Un evento tanto inusuale da poter sembrare una pura operazione mediatica e indurre così qualcuno degli invitati a rimanere a casa, per starne alla larga.

Il passaggio alla fase attuativa avviene in modo ben più riservato: dai ministeri competenti (Interno e Giustizia) finora non è giunta nemmeno una riga di circolare, cosa che ha destato perplessità soprattutto nelle forze dell'ordine. D'altra parte, sono gli stessi ministeri che nel governo precedente all'attuale si erano espressi contro l'omicidio stradale, perché a rischio di incostituzionalità (soprattutto perché attribuisce agli incidenti stradali una gravità maggiore rispetto a quelli sul lavoro). Quello che è cambiato rispetto ad allora è che i ministri sono diventati favorevoli, mentre i tecnici (cui spetta scrivere le circolari) sono rimasti in buona parte contrari.

In ogni caso, nella pratica quotidiana, saranno i singoli magistrati a decidere come procedere, instaurando prassi locali cui gli organi di polizia si adegueranno. Dunque, le incertezze operative per gli agenti si attenueranno, sia pure a prezzo di differenze da città a città. Succede sempre così in campo giudiziario. Quel che resterà a minare più profondamente la nuova legge è invece una severità che, pur essendo calibrata stando attenti a casi e sottocasi, rischia in alcuni casi di colpire guidatori ben meno pericolosi di quei pirati della strada che la nuova legge intende colpire, almeno per come la si è descritta all'opinione pubblica.

Nell'immaginario collettivo, pirati sono quelli che meritano il carcere ma difficilmente vi finiscono davvero (ed è per evitare questo che la nuova legge è stata, comprensibilmente, voluta). È il caso di quelli che si mettono alla guida ubriachi o drogati (e questi vengono effettivamente colpiti dalla nuova legge, pur con la riserva che i test su alcol e droga non sono infallibili) oppure effettuano volontariamente manovre del tutto sconsiderate. E in effetti la legge colpisce soprattutto qui. Il problema è come individuare le manovre sconsoderate: la nuova legge fa ovviamente riferimento a infrazioni previste nel Codice della strada come molto gravi, ma in un sistema come quello italiano la gravità reale va valutata caso per caso.

La prima infrazione grave è l'eccesso di velocità oltre certe soglie (sforamento di 50 km/h fuori città o del doppio del limite in città, con un minimo di 70 km/h). Ma, mentre l'eccesso di velocità previsto dal Codice è rilevato con autovelox e affini, in caso d'incidente ad accertarlo sarà quasi sempre un perito. E tra i periti ci sono sia ottimi professionisti specializzati in incidenti stradali sia operatori che al servizio dei magistrati fanno un po' tutto, comprese le perizie balistiche sulle sparatorie. Senza contare che a volte si può sforare di molto un limite pur tenendo una velocità sostanzialmente normale: pensate a chi va ai canonici 130 su un largo rettilineo autostradale dove il gestore d'inverno impone gli 80 all'ora perché nello spartitraffico resta aperto un varco per lasciar passare gli spazzaneve in caso di emergenza; e tra le altre infrazioni gravi citate dalla legge sull'omicidio stradale, paradossalmente non c'è anche l'inversione di marcia in autostrada.

C'è invece il sorpasso con striscia continua o vicino alle strisce pedonali, cosa discutibile in un Paese come l'Italia, in cui non di rado delle strisce continue si abusa e gli attraversamenti per chi va a piedi sono poco visibili perché progettati male e manutenuti peggio.

Insomma, ci sono situazioni in cui anche il più prudente dei guidatori si può trovare. Certo, sul Sole 24 Ore del 6 marzo è stato stimato che, nonostante queste incongruenze, a giudicare dai dati Istat sulle cause degli incidenti solo una minoranza dei guidatori responsabili di incidenti mortali riporterà effettivamente condanne tali da farlo restare in carcere. Ma lascia comunque perplessi il fatto che, per assicurare pene adeguate per qualcuno, qualcun altro potrebbe essere condannato in modo più pesante di quanto meriti.

Un'ingiustizia, anche perché nasce dall'inveterata tendenza a scaricare su chi guida anche colpe del gestore della strada o del costruttore del veicolo. Si obietta che le statistiche mostrano una nettissima prevalenza di incidenti causati dal conducente, ma gli esperti sanno che spessissimo le indagini sono poco approfondite.

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