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Quando l’intelligence offende l’intelligenza

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LE INDAGINI

Quando l’intelligence offende l’intelligenza

(Ap)
(Ap)

Parlare di intelligence, a volte, può sembrare un’offesa all’intelligenza. Anche se della tecnologia non si può fare a meno, le indagini più complete si fanno, come i reportage, consumando la suola delle scarpe.

Cioè andando sul posto. Immaginiamo allora un solerte poliziotto belga che dopo il fallimento delle perquisizioni dei suoi colleghi seguite all'attentato di Parigi torna a Moleenbek in Rue de Quatre-Ventes 79, per mesi il rifugio di Salah Abdeslam. Questo poliziotto, secondo la “Derniere Heure” avrebbe indicato in un rapporto del 7 dicembre scorso, destinato all’antiterrorismo, l’indirizzo dove è stato trovato il terrorista Salah Abdeslam.

Il rapporto però non è mai stato trasmesso al database nazionale.

Certo, dopo quanto accaduto, maramaldeggiare con il Belgio è facile ma forse un pò ingiusto: anche gli Stati Uniti hanno commesso fesserie incredibili nella lotta al terrorismo e proprio pochi mesi prima dell’11 settembre 2001. L’attacco alle Due Torri e al Pentagono si poteva anche evitare. Fu a Kabul che scoprimmo il famoso “omissis” dei rapporti della Cia. Il nome è Wahid Mozdah, ex vice ministro talebano: ci accolse in un ufficio dove all’ingresso spiccava l’insegna azzurra dell’Alpha Bros Construction. Wahid era una fonte di notizie non solo sull’apparato talebano ma anche su Al Qaeda perché è stato seguace del palestinese Abdullah Azzam (guida spirituale di Osama bin Laden), ucciso in un attentato a Peshawar nel 1989. Lui e Osama vissero sotto lo stesso tetto per quasi due anni
in Pakistan.

Ma soprattutto Wahid è l’uomo che nel luglio del 2001, rischiando la testa, attraversò il Kyber Pass per incontrare David Katz, il console americano a Peshawar, avvertendolo che si progettava uno spettacolare attentato contro gli Stati Uniti. «Gli parlai di arabi che avevano nascosto 2mila chili di esplosivo negli Usa e si preparavano a colpire. Rividi Katz a Peshawar due settimane dopo l’11 settembre: mi rimproverò di averlo depistato perché non avevo parlato di aerei ma avevo indicato chiaramente che c’erano più cellule pronte ad agire». Mozdah dunque aveva fatto dei nomi.

L’”omissis” della Cia mostrò i filmati originali di Al Qaeda e altre organizzazioni che illustravano le nuove “fabbriche della Jihad” in azione in Medio Oriente, in Nordafrica, nel Sahel. Si vedevano jeep saltare in aria con il telecomando, la preparazione dettagliata di bombe e cinture esplosive: l’Afghanistan “importava” dall’Iraq i kamikaze di Abu Musab al Zarqawi, precursore dei metodi dell’Isis, che progettava un Califfato in Mesopotamia allevando Al Baghdadi. «Vedrete - disse Mozdah - le fabbriche della jihad arriveranno anche in Europa, nelle zone grigie dove lo stato è latitante».

Le informazioni di Wahid finirono nei rapporti di qualche intelligence europea e lì rimasero: gli europei sono alleati ma non amici, semmai sono concorrenti, soprattutto quando l’intelligence riguarda economia finanza, tecnologia. Passarono alcuni anni prima che il nome di Mozdah venisse citato su un giornale americano.
A nessuno piace fare brutte figure.

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