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Se la Cina perde il «tesoretto»

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LE STRATEGIE DEL DRAGONE

Se la Cina perde il «tesoretto»

Quel “tesoretto” in valuta estera accumulato con pazienza certosina dalla Banca centrale cinese negli anni della crescita a due cifre ora si scioglie al sole, come i ghiacciai dell’Himalaya insidiati dal global warming.

Per la Cina questo è un problema serio con il quale dovrà misurarsi, specie se la divisa nazionale, lo yuan, continuerà a perdere valore. Basta dare un occhio all’andamento dell’ultimo anno ricostruito dalla stessa Banca centrale per rendersi conto del declino delle riserve cinesi che, ormai, sembra inarrestabile.

Faceva invidia al mondo intero, il “tesoretto”, quando la Cina competeva con il Giappone per il primato nell’acquisto di titoli di Stato americani. Era una sorta di portbonheur quando Pechino doveva spiegare che c’era spazio per manovre monetarie altrove impensabili e che la Cina aveva le spalle forti per reggere agli inevitabili scossoni della globalizzazione.

Non solo. Politicamente quei leggendari 3,8 trilioni di dollari (dicembre 2014) tenuti sotto chiave erano un modo per tener testa agli Stati Uniti e per guardare alle sventure altrui dall’alto di quella montagna in valuta estera, basti pensare a quando gli americani si sono ritrovati sull’orlo del default.

Poi, lo shock dello scorso mese di agosto, un punto di non ritorno per la Cina, a causa del crollo delle borse e dell’improvvida svalutazione dello yuan dell’11 di agosto. Il 7 febbraio le riserve in valuta secondo dati ufficiali confermati erano scese di 99,5 miliardi a gennaio, portando il livello delle riserve a 3,2 trilioni di dollari, poco al di sotto dei 107,9 miliardi spariti a dicembre, la perdita più grave di sempre.

Nel 2015 le riserve cinesi sono crollate di 512,7 miliardi a 3,3 trilioni, la peggiore performance annuale.

Da allora i continui sciami sismici nelle borse, il primo agli inizi del 2016, l’ultima emorragia a ridosso delle Due Sessioni del Parlamento che il 16 marzo hanno approvato il nuovo piano quinquennale, hanno costretto il governatore Zhou Xiaochuan ad attingere ripetutamente alle riserve. Un trilione di dollari sarebbe inoltre sparito all’estero, al punto da spingere le autorità a inventare di tutto - dal tetto alla spesa delle carte Unionpay all’estero alla Tobin tax ventilata per i guadagni di borsa a breve - pur di invertire la tendenza. Senza troppi risultati, a quanto pare.

In questo frangente la Banca centrale ha tirato giù il velo sulla composizione degli asset, una sorta di segreto di Stato, facendo dichiarare alla Safe, il braccio armato per i movimenti valutari, che le risorse dei fondi sovrani in primis China investment corporation (CIC) non rientrano nel calcolo delle riserve, peccato che i fondi siano stati ripetutamente coinvolti per sostenere il cambio della moneta nazionale.

Se le riserve non sono in pericolo, a detta della Banca centrale, il livello tuttavia scende pericolosamente di mese in mese, e la tendenza si sta consolidando, dopo anni di crescita grazie alla quale la Cina ha accumulato la dote più consistente al mondo.

Il Governatore della Banca centrale Zhou Xiaochuan al G20 finanziario di Shanghai ha puntigliosamente ribattuto alle accuse di scarsa trasparenza nel calcolo delle riserve.

Secondo Zhou il cambio nel calcolo effettuato nel bollettino della Banca sarebbe del tutto indipendente dalle accuse mosse, come dire che le autorità avrebbero comunque modificato il monitoraggio mensile considerato “non più adeguato”.

Il sospetto che i report vengano stilati in modo tale da occultare le perdite è ricorrente e i mercati ne risentono. Gli analisti finanziari puntano il dito contro questa tendenza sostenendo che la mancanza di informazioni chiare rende difficile per i mercati per valutare l’entità dei flussi di capitale dalla Cina.

Il rapporto mensile è stato modificato nella struttura con il nuovo anno, ma la manovra non ha convinto gli addetti ai lavori. Una mossa attuata appena una settimana prima del G20 finanziario.

Il declino delle riserve sembra davvero un fenomeno ormai strutturale indotto dalla debolezza dell’economia cinese. Zhou Xiaochuan appena chiuso il G20 Zhou ha immesso altri 230 miliardi di yuan (35 miliardi di dollari) sui mercati per allentare le tensioni sulla liquidità, in appena una settimana ha messo in circolo un migliaio di miliardi.

In Cina serpeggia il timore di una riduzione del circolante (M2) e la discesa sotto quota 3 – così la chiamano - delle riserve valutarie fa paura in un momento in cui le società sono fortemente indebitate e persino i Dim Sum, i bond denominati in yuan offshore sono stati dichiarati clinicamente morti. Segno che il sistema non riesce a funzionare in maniera corretta.

Per fronteggiare il problema il Governatore ha sostituito Yi Gang con Pan Gongsheng a capo della Safe, i quali sanno che non è solo l’indebolimento dello yuan offshore e la fuga di capitali a deprimere i mercati. Anche le riserve faranno la differenza. Cambiare posizione non cambia il problema. Il problema è serio.

Fa dunque specie che il compito di impugnare l’estintore contro il deprezzamento dello yuan e il declino delle riserve («non ci saranno effetti sull’economia cinese») sia stato affidato a Wang Baoan, il direttore dell’Ufficio di statistica caduto in disgrazia, accusato di corruzione dopo appena un’ora e mezza dalla conferenza stampa in cui aveva pronunciato queste epiche frasi.

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