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L’importanza di stabilità e governance nelle grandi imprese

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il dibattito e le idee

L’importanza di stabilità e governance nelle grandi imprese

Quale è la “nuova normalità” nelle regole di banca e finanza? La maggiore novità è il ritorno della importanza della stabilità, vuoi nel governo della politica economica – pensiamo al ruolo delle regole di Draghi – che in quello delle aziende – piccole ma soprattutto in quelle grandi, come possono essere Mediobanca o Generali – e soprattutto nelle fasi eccezionali – senza il decisivo contributo delle Fondazioni, gli anni appena passati sarebbero stati molto più dolorosi per le banche, quindi per imprese e famiglie.

Dopo l’ubriacatura dei mercati efficienti che si autoregolamentano, ed i dolorosi postumi post sbornia da Grande Crisi, il pendolo sta tornando sul ruolo della stabilità nel governo delle politiche, macroeconomiche come aziendali. Un salutare riequilibrio, purché non si cada dalla padella alla brace, con la stabilità a fare da cavallo di Troia per la difesa di rendite, siano esse dei politici, delle burocrazie di controllo e di vigilanza, dei manager.

I Paesi avanzati sono entrati in una fase molto particolare, quella della “nuova normalità”, caratterizzata da almeno due caratteristiche: crescita economica anemica, unita a mercati finanziari volatili e complessi. Sono due facce di una stessa medaglia, che è stata coniata almeno due decenni fa. Da un lato, l’economia reale – negli Stati Uniti come in Europa – è caratterizzata da una bassa produttività, che ha schiacciato la reddittività reale del capitale verso lo zero, se non in territorio negativo. La crescita anemica è un risultato che sorprende, soprattutto se accoppiato ai due fenomeni – intrecciati – che hanno contemporaneamente contraddistinto lo stesso periodo: lo sviluppo impetuoso delle tecnologie della informazione (ICT) e quello della finanza, cioè del debito.

La crescita straordinaria e congiunta di ICT e finanza non deve sorprendere: se finanza è produzione e creazione di debito, tale attività dipende dalla gestione di informazioni, per cui l’evoluzione della ICT è stata la leva tecnologia che ha fatto proliferare la leva finanziaria. Anche perché la leva regolamentare è andata nella stessa direzione: la deregolamentazione ha consentito l’intreccio profondo e diffuso tra innovazione ICT e innovazione finanziaria.

Quello che sorprende invece è che dello sviluppo di ITC e finanza non si trovi traccia robusta e duratura nella crescita reale. Alcuni ritengono che ci siano dei problemi di misurazione; un’altra ipotesi – tutta da esplorare – è che il combinato disposto di deregolamentazione, crescita del debito e del ICT sia un disincentivo alla produttività del lavoro.

Di sicuro la deregolamentazione è stato il propellente principale della Grande Crisi, unito ad una politica monetaria irresponsabile che ha finanziato la crescita del debito. L’assioma su cui si basava la deregolamentazione – i mercati tendono ad essere efficienti, e la autoregolamentazione è il miglior disegno per disciplinarli – è stato falsificato dalla realtà.

Il maggior beneficio? È stata riscoperta l’importanza della stabilità finanziaria, in più di un perimetro di gioco: la politica monetaria da un lato, quella bancaria e della governance dall’altro. Il maggior rischio? Che la rilevanza della stabilità diventi il cavallo di Troia per sviluppare o consolidare posizioni di rendita, da parte di attori rilevanti.

Nella politica monetaria è caduto l’assioma che la gestione dei tassi di interesse e delle grandezze monetarie deve essere indifferente a quello che accade nei mercati finanziari. L’assioma partiva dal presupposto che la volatilità dei mercati finanziari – che può sfociare in vere e proprie bolle – era un fenomeno irrilevante per le scelte della politica monetaria. L’irrilevanza era motivata dalla difficoltà di comprendere la natura più o meno strutturale della volatilità finanziaria; di conseguenza, dal rischio di commettere errori di politica monetaria, che pregiudicano la credibilità della banca centrale; la quale dunque, deve evitare di intervenire ex ante, e limitarsi – se del caso – a gestire ex post le bolle finanziarie che scoppiano. La strategia della neutralità della politica monetaria rispetto ai rischi da instabilità finanziaria ha causato l’incapacità della banca centrale americana (Fed) di comprendere quello che stava accadendo, sfociata nella gestione fallimentare del periodo che va dall’agosto 2007 al settembre 2008, culminata con il fallimento di Lehman Brothers. Dal 2008 la stabilità finanziaria è tornata importante per la politica monetaria. Il rischio? Si è confusa la rilevanza della stabilità con la necessità che sia la stessa banca centrale ad occuparsi della supervisione – macro e micro – dei mercati bancari e finanziari. In altri termini: dire che il fuoco è importante non significa automaticamente che i piromani debbano essere nominati pompieri. È quello che è accaduto per la Fed, e la scelta ha contagiato anche l’Europa, dove si è deciso di mettere sotto lo stesso tetto le responsabilità di politica monetaria e di vigilanza.

Nella politica bancaria e della governance è caduto definitivamente l’assioma che portava automaticamente dalla cosiddetta contendibilità di mercati, banche ed aziende alla stabilità finanziaria. La regolamentazione bancaria e finanziaria – basata esclusivamente sui due pilastri dei controlli prudenziali e dei cosiddetti indicatori di buona governance, ruolo degli investitori istituzionali e degli amministratori indipendenti incluso – ha fallito. È iniziato un faticoso percorso di ripensamento delle regole del gioco, che deve prevedere, oltre ad un revisione delle regole prudenziali e di governance, anche la reintroduzione dei cosiddetti controlli strutturali ed il ripensamento dello strumento della tassazione. L’eccesso di assunzione di rischio a livello aziendale – che è la miccia del rischio sistemico, se diviene generalizzato – non può essere evitato contando esclusivamente su pilastri che si sono mostrati di argilla. Il rischio? Passare dalla padella alla brace: la regolamentazione ante Crisi ha creato spesso manager autorefenziali, sovente anche infedeli; l’impressionante sequenza di manipolazioni del buon funzionamento di più un mercato, nazionale e globale, sono a testimoniarlo. Ora l’importanza della stabilità non deve però diventare un comodo usbergo per difendere vecchie e nuove posizioni di rendita. Efficienza e stabilità non sono mai l’una automatica conseguenza dell’altra. È una illusione – o una finzione – che non valeva quando si sosteneva che l’efficienza produce stabilità; non deve valere oggi nella direzione inversa.

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