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L’attivismo diplomatico di Salvini e Di Maio

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POLITICA 2.0 - ECONOMIA & SOCIETÀ

L’attivismo diplomatico di Salvini e Di Maio

Il vice presidente della Camera, Luigi Di Maio (a sinistra), e il segretario della Lega Matteo Salvini
Il vice presidente della Camera, Luigi Di Maio (a sinistra), e il segretario della Lega Matteo Salvini

Oggi Renzi sarà di nuovo negli Stati Uniti ma, intorno a lui, c’è un certo attivismo anche dei suoi avversari. Salvini che parte per Israele, i 5 Stelle che programmano un viaggio a Mosca mentre qualche giorno fa Di Maio ha incontrato gli ambasciatori europei.
Non sfugge, insomma, che coloro che si candidano come l’alternativa al premier abbiano cominciato a muoversi per accreditarsi presso le cancellerie europee e non. Conta molto il fatto che ci siano delle elezioni amministrative di un qualche peso e dunque c’è l’esigenza di farsi conoscere. Ma probabilmente conta di più la prospettiva di elezioni politiche che potrebbero essere anticipate al prossimo anno, come pensano in tanti. E quindi l’attivismo si capisce alla luce di queste scadenze e dell’esigenza di leader come Di Maio o Salvini di incontrare direttamente gli interlocutori internazionali – senza la mediazione della stampa, come ha dichiarato l’esponente grillino - e fuori da ogni propaganda politica che porta a eccessi che spesso vengono corretti dai leader nel corso dei faccia a faccia.

Così sembra sia accaduto con Luigi Di Maio e gli ambasciatori europei ai quali non ha confermato l’obiettivo dei 5 Stelle di fare un referendum sull’euro né di uscire dalla moneta unica unilateralmente rompendo con Bruxelles e tutte le capitali europee. Piuttosto si sarebbe gettata acqua sul fuoco dell’euroscetticismo e discusso solo di un doppio “euro” di cui si parla da tempo ma che resta sospeso nell’aria. Stesso registro per Salvini che nella campagna elettorale a Roma non disdegna la compagnia dell’estrema destra ma che a Gerusalemme darà ampie rassicurazioni di senso opposto. Insomma, le urne accelerano un percorso di incontri e strette di mano in un certo senso obbligato visto che il cursus honorum classico di chi vuole prendere la guida di un Paese passa per una credibilità acquisita anche sulla scena internazionale. Il punto però è proprio questo, quale credibilità?

Già questa è una bella domanda per Renzi che ha due grosse prove da affrontare e che in due anni di governo non ha ancora superato. La prima, vista l’urgenza dei fatti che accadono, è la scelta – delicatissima – in tema di terrorismo e immigrazione. In evidenza c’è soprattutto il dossier Libia di cui parlerà con Obama che, nonostante l’imminenza delle nuove elezioni americane, resta pienamente operativo sull’emergenza di Tripoli. L’altra prova riguarda più da vicino l’Europa e le nostre relazioni con la Germania ed è la credibilità sui conti pubblici. All’incirca tra una settimana il Governo presenterà il Def e il piano delle riforme che poi sarà inviato a Bruxelles e le uniche due cose di cui si sa sono: il ritocco verso il basso delle previsioni di crescita – dall’1,6% all’1,3% - e una correzione di 3 miliardi per stare entro il 2,2-2,3% del rapporto deficit Pil. Con un grande punto di domanda che riguarda il debito pubblico e l'impegno a farlo scendere. Ecco, su questo fronte l’Italia si comporta un po' come al solito: più deficit che tagli, più spesa che attenzione al debito. Era il punto su cui saltò Berlusconi, resta il piano inclinato di Renzi che finora non ha cambiato verso alle cattive abitudini finanziarie. Ma è un’incognita che pesa anche su quelli che oggi si candidano a essere alternativa al premier.

Finora le rassicurazioni che sono stati in grado di dare Salvini e Di Maio riguardano più la collocazione entro certe coordinate internazionali, dall’Europa agli Usa passando per Israele e la Russia. Ma sulla sostanza, cioè sulle prove a cui è chiamato Renzi – dal terrorismo ai conti pubblici - non mostrano di avere dei credibili piani B. Da vera alternativa di governo.

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