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La difficile primavera dell’Europa immobile

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TERRORISMO E ECONOMIA

La difficile primavera dell’Europa immobile

Nella foto la zona adiacente agli edifici dove ha sede l’Unione europea a Bruxelles il giorno degli attacchi kamikaze all’aeroporto e nella metropolitana (LaPresse)
Nella foto la zona adiacente agli edifici dove ha sede l’Unione europea a Bruxelles il giorno degli attacchi kamikaze all’aeroporto e nella metropolitana (LaPresse)

È cominciata con l’incubo del terrorismo questa nuova primavera europea: 35 morti e oltre 300 feriti a Bruxelles, solo 4 mesi dopo le stragi di Parigi. Rischia di continuare con l’emergenza rifugiati, viste le molte incertezze, anche legali, che accompagnano l’attuazione del discusso piano euro-turco per tentare di controllarla.
Sullo sfondo di una ripresa economica che non riesce a rinvigorirsi, dei disoccupati che calano ma non abbastanza, delle banche che proiettano ombre di instabilità finanziaria sul circuito opaco di un’unione bancaria partorita zoppa e malata di nazional-protezionismi diffusi, che impediscono l’integrazione di un settore che dovrebbe essere invece uno dei volani fondamentali della crescita. Mario Draghi e la sua Bce da mesi ci provano a dare una scossa alle banche come del resto ai governi europei. Finora senza risultati mirabolanti. Tanto che il 17 marzo scorso a Bruxelles, cinque giorni prima dei micidiali attentati che l’hanno colpita, il presidente della Bce non ha esitato a suonare l’allarme: «Le riforme per affrontare le debolezze strutturali dell’economia europea sono importanti ma ancora più importante è fare chiarezza sul futuro della nostra unione monetaria». La politica monetaria che in questi anni ha sostenuto la ripresa, ha aggiunto, non può fare né le une né l’altra. Mai prima la Bce aveva lanciato un avvertimento così ruvido ed esplicito ai governi dell’eurozona.

Con tutte queste crisi irrisolte, la primavera europea si annuncia ansiogena e densa di punti interrogativi. Ad ogni attentato l’Europa si stringe in professioni comuni di buona volontà, come ad ogni cattiva pagella gli scolari promettono che saranno più buoni. In genere, nessuno dei due mantiene la parola. C’è da sperare che questa volta l’Europa si smentisca impegnandosi seriamente per rafforzare la cooperazione tra forze di politica e servizi di intelligence, far confluire le informazioni nelle banche dati Ue, approvare il registro europeo dei passeggeri aerei, potenziare i controlli alle frontiere come gli strumenti di lotta al finanziamento del terrorismo. Tutti impegni ribaditi con forza a Bruxelles giovedì scorso dai ministri di Interni e Giustizia Ue. Peccato che gli stessi avevano promesso le stesse cose nel novembre scorso. Invano.

Sui rifugiati è presto per dire se è scattato il principio della fine dell’emergenza. L’accordo Ue-Turchia, operativo dal 20 marzo, la scorsa settimana ha visto precipitare i flussi verso la Grecia tra le 930 e le 78 persone al giorno contro le migliaia del mese di marzo. Però non è chiaro se il crollo sia dovuto all'intesa o alle burrasche nel mar Egeo. In compenso se la Grecia ha pronta la legge per dichiarare la Turchia “paese sicuro”, pre-condizione giuridica per potervi espellere tutti i migranti illegali, siriani compresi, Ankara non sembra per nulla intenzionata a modificare la propria legislazione sulla tutela dei rifugiati per adeguarsi al protocollo della Convenzione di Ginevra. Se confermato, il rifiuto esporrebbe l’intesa euro-turca a ricorsi per illegalità in violazione delle norme europee e internazionali. Il tutto mentre i centri di registrazione e detenzione nelle isole greche sono stati già disertati da Onu e Medici senza frontiere «perché vi si lavora in condizioni inique e inumane».

Se possibile, in prospettiva le sfide economico-finanziarie appaiono ancora più vischiose e inquietanti. L’anno incominciato con la grande tempesta sui titoli bancari non promette remissione a breve. Oggi il livello di capitalizzazione delle banche è più alto rispetto al 2008-09 ma quello della loro profittabilità è più basso e quasi dovunque convive con il peso dei crediti in sofferenza. Senza una ripresa robusta, che per ora non si intravede, alla lunga in Europa e non solo in Italia rischia di porsi la questione della solvibilità bancaria. Senza riforme strutturali che ne ricuciano l’eccesso di divergenze interne rilanciando tenuta e competitività del sistema, anche l’eurozona naviga in acque torbide. Per questo Draghi ha richiamato i governi al senso di responsabilità collettiva, che invece continua a latitare a Nord come a Sud. Nessuno per ora dà l’impressione di aver colto il significato del messaggio e del pericolo. Però di certo nessuno vuole che questa diventi una maledetta primavera europea. Solo i governi oggi possono evitarlo facendo tutti e sul serio la propria parte su tutti i fronti delle crisi, sfidando populismi e nazionalismi che li divorano. E che, se non saranno fermati, finiranno per fagocitare anche l’Europa. Come Draghi ha fatto intendere, senza troppi giri di parole.

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