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La ricerca motore della crescita

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scenari & strategie

La ricerca motore della crescita

Il presidente Matteo Renzi rispondendo al recente appello dei ricercatori italiani mette il tema della ricerca al centro dell'agenda politica, garantendo che per il Governo questa sarà una priorità strategica. Il ministro Martina ha poi ribadito l'impegno sul progetto dello Human Technopole come naturale eredità di Expo. Infine il Piano Nazionale della Ricerca (Pnr 2015-2020) pare sia giunto al termine del suo viaggio nella notte burocratica italiana. Sono tre buone notizie e se la ricerca entrerà stabilmente nell’agenda del premier potrebbero diventare realtà. Per Confindustria e per le imprese queste sono, oggi più che mai, questioni di cruciale importanza.

Il Piano Nazionale della Ricerca è un documento di buon impianto complessivo. Molte misure nascono anche dal lavoro del Comitato ricerca di Confindustria. È importante che diventi strutturale l’intervento sui dottori di ricerca nell’industria e che si faccia esplicito riferimento alle Pmi italiane, riconoscendone la capacità d’innovazione. Il Pnr è inoltre onesto nel riconoscere che molta energia oggi è dispersa dall'incapacità a eseguire con tempi, diciamo ragionevoli, ciò che si programma e che perciò tanto vada fatto per la semplificazione e la messa in efficienza dei processi.

Il quadro finanziario del programma si affida molto all’Europa, dove sappiamo che la gara è aperta e incerta nei risultati, ci sono però 500 milioni dal Fondo Sviluppo e Coesione che, ben usati e in tempi certi, potrebbero dare una buona spinta. E' positivo dare un ruolo stabile ai cluster tecnologici, anche se ha un sapore amaro constatare che mentre si programma il loro futuro non si è ancora stati capaci di sanare il loro passato e di metterli a regime nel presente. Siamo fiduciosi che la fase di applicazione non seguirà i ritmi blandi fin qui seguiti e che la ricerca in collaborazione con l’industria possa diventare un’azione modello del nostro paese, perché su questo ci giochiamo un pezzo del nostro futuro.

Per prodotto e capacità creativa siamo tra i primi nel mondo: in questi quattro anni di vicepresidenza l’ho sempre sostenuto, e anche questo Pnr dà ragione a chi crede al valore della nostra ricerca e tecnologia. Siamo ancora una grande potenza industriale e viviamo già dentro alla nuova manifattura, della genomica e dei cyber-sistemi e siamo in grado di reggere bene la nuova competizione del 4.0. Nel viaggio nell’Italia che Innova che stiamo facendo con il Sole 24 Ore raccontiamo ovunque realtà fantastiche d'impresa, di voglia e grinta di sperimentare. Siamo al contempo consapevoli dei limiti competitivi che dobbiamo vincere, del ritardo digitale, della debolezza sul versante delle competenze, del numero troppo esiguo di ricercatori, tecnici e ingegneri. Dobbiamo costruire un Paese più attraente per chi vuole operare nella scienza e investire nell’innovazione. I ricercatori devono diventare figure di primo piano e godere di uno status ambito e un ambiente favorevole al loro prezioso talento.

La capacità competitiva delle nazioni dipenderà sempre più dagli investimenti in ricerca e conoscenza. Perciò il mondo è impegnato in una gara basata sulla tecnologia, il sapere, la qualità dell’istruzione, le università di alta qualità. Le potenze industriali, come le aggressive economie emergenti, accompagnano il cambiamento con collaborazioni di ampia visione tra imprese e centri di ricerca, in cui la fabbrica è anche laboratorio della conoscenza. Ovunque il sistema pubblico investe in acceleratori di ricerca di alta qualità e a tale proposito dobbiamo dire che l'occasione che abbiamo sullo Human Technopole di Milano è strategica, non può essere sprecata o rallentata per microinteressi, anzi dovremmo tutti spingere per realizzare altri progetti simili nel paese. Ovviamente i criteri di valutazione devono essere rigorosi e trasparenti per fugare ogni dubbio in merito alle scelte.

L’Italia su questa scena può essere in prima fila, a patto che diveniamo consapevoli, noi imprenditori per primi, che per non essere comparse, occorre definire una visione con investimenti adeguati e negoziare una partnership tra pubblico e privato all’altezza di queste sfide. Sarà anche una gara tra policy. I leader saranno i paesi più decisi nel facilitare lo sforzo imprenditoriale e sostenere le eccellenze produttive, porre la ricerca nel cuore della politica industriale. Gli altri saranno follower. Noi abbiamo qualche nuovo strumento, patent box, credito d'imposta e ogni tanto lanciamo qualche episodico investimento. I processi amministrativi sono farraginosi e urge un loro re-engineering radicale, senza il quale le buone politiche si spengono lentamente, strozzate dalle carte. Ciò che manca è l’architettura che tiene insieme i vari spezzoni di intervento, oggi sparsi tra sanità, agricoltura, difesa e ambiente, oltre che alle attività produttive e all'università e ricerca. La smart specialization strategy e il piano nazionale della ricerca hanno in parte questo scopo e possono essere una credenziale da giocare in Europa. Tuttavia il nodo non è solo questo, perché per nascere l'architettura ha bisogno dell'architetto che la progetta. Da tempo sostengo che un dicastero che prova a far convivere il pesante Golia dell’istruzione con il piccolo Davide della ricerca, non è utile a nessuno, perciò i dibattiti sui modelli di governance della ricerca sono niente altro che un esercizio da convegni se non partiamo dal chiarire una premessa. Non so se sia preferibile un sottosegretariato per la ricerca a Palazzo Chigi, come ha proposto tempo fa Alberto Quadrio Curzio, o un viceministro al Miur o un’Agenzia dedicata come vorrebbero altri, modello che peraltro nel nostro paese non ha riscosso grandi successi. So che abbiamo urgente bisogno di un architetto politico della ricerca a tempo pieno, che accompagni con una visione questa fase cruciale per la ripresa della crescita italiana, che ripensi da zero l'edificio, gli impianti e i processi di funzionamento, oggi ormai fuori combattimento.

La nuova impresa italiana prenderà forma anche senza politiche pubbliche per la ricerca, ma avrà meno respiro, sarà più sola e fragile. È con le istituzioni al proprio fianco che l'industria creativa, colta, competente, connessa, darà quel robusto contributo alla crescita e alla qualità del lavoro che l’Italia si aspetta e soprattutto si merita.

Diana Bracco è vice presidente

Confindustria per la ricerca e innovazione

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