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La «reputazione» nell’urna

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Italia

La «reputazione» nell’urna

Ma le dimissioni basteranno? Non dal punto di vista delle responsabilità di Federica Guidi - che ha fatto la giusta scelta di andarsene - ma per la reputazione del premier e del suo Esecutivo. Basterà, insomma, sostituire un ministro per recuperare l’ennesimo colpo di immagine? Perché quello che è accaduto avviene in un tempo fatale per Renzi tra le elezioni amministrative di giugno e il referendum costituzionale di ottobre. Un anno in cui le debolezze del Governo e quelle del partito saranno un tema di campagna elettorale per i suoi avversari esterni e anche interni. La questione “morale” torna e questa volta si somma agli altri grandi nodi: economia, immigrazione e terrorismo.

Il punto è che tutto ciò che ruota intorno a Renzi – e il suo ristretto circolo toscano – non funziona come dovrebbe. Non funziona il Pd che mostra lacerazioni quasi ovunque da Milano a Napoli e a Roma, dove il ritorno di Ignazio Marino è l’ennesima dimostrazione di un partito ancora sull’orlo di una crisi di nervi, non sicuro di sé, ancora in ansia per gli scandali passati e in allarme per quelli eventuali. E non funziona il Governo che viene rappresentato o troppo sbilanciato su un premier “pigliatutto” o sulle questioni “personali” di alcuni dei suoi ministri. Dopo le intercettazioni e l’abbandono di ieri della Guidi ritorna, proprio all’inizio di una difficile campagna elettorale, lo spettro della questione morale. E, in effetti, siamo al secondo ministro dimissionario dell’Esecutivo Renzi. Dopo Maurizio Lupi che lasciò nel marzo del 2015 ora è la volta di Federica Guidi. E due poltrone che saltano in un anno è un ritmo notevolmente alto. Questo vuol dire che anche Maria Elena Boschi - la fedelissima del premier, anche lei citata nelle intercettazioni - sarà sempre più sotto pressione dopo le accuse di bancarotta fraudolenta a suo padre. Dunque un assedio non facile di cui liberarsi.

Tanto più se tutto questo accade a due mesi da un voto comunale che avrà un suo peso politico nonostante il premier abbia concentrato tutta la sua scommessa a ottobre sul referendum costituzionale. Il fatto è che sarà sempre più difficile liberarsi dall’analisi del voto amministrativo se fatti come quelli di ieri arrivano a ridosso delle urne. Perché il voto diventa tanto più il termometro di un gradimento quanto più i fatti che accadono hanno un senso politico. E le intercettazioni della Guidi prestano il fianco alle critiche - se non sulla legalità in senso stretto – certamente sulla correttezza istituzionale dei componenti della squadra di Governo. Una vicenda che si somma a quella di Lupi e a quella della Boschi: nessuna rilevanza giudiziale ma un danno di reputazione.

È così che quest’anno così fatale per il destino politico di Renzi si sta complicando. E l’errore è che il premier lo affronta come se fosse nel 2014, magari mettendo in cantiere un taglio delle tasse ma senza mettere a fuoco il tema dell’immagine della squadra di Governo e di partito.

È possibile affrontare un voto amministrativo così denso – votano Milano, Roma e Napoli ma anche Torino e Bologna – solo sostituendo un ministro? E sarà possibile saltare l’ostacolo delle comunali e impegnarsi nel referendum costituzionale senza curarsi delle ferite del partito e dell’Esecutivo? In questo senso non basterà solo sostituire la Guidi ma affrontare la complessità dei due fronti aperti del leader/premier. È facile prevedere che la scelta su chi guiderà lo Sviluppo economico sarà fatta con maggiore attenzione e rapidità di quanto accadde con le dimissioni di Lupi. Stavolta è tempo di campagna elettorale e bisogna correre. E di certo anche su questa scelta, così come sono state le nomine, sarà verificato se il criterio è stato quello della vicinanza – anche geografica - al premier. Ma non sarà solo un nome, per quanto brillante, a cambiare l’immagine del Governo Renzi. E del suo modo di gestire la leadership.

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