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Un passo obbligato, la credibilità in gioco

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Italia

Un passo obbligato, la credibilità in gioco

Poteva un Governo che aveva fatto dello “Stato di pulizia” una bandiera, come disse Matteo Renzi all’inizio della sua avventura a Palazzo Chigi, sopportare un’intercettazione telefonica - che chiama in causa anche la ministra Maria Elena Boschi- dalla quale risulta, senza possibilità di equivoci, che la collega dello Sviluppo economico, Federica Guidi, aveva fatto passare un emendamento legislativo che stava (anche) a cuore degli interessi imprenditoriali del suo compagno, indagato dai magistrati per “traffico di influenze”?

Mezze misure, pause di riflessioni o sottili distinguo non erano oggettivamente possibili. Il fatto si commenta da solo nella sua esemplare gravità, anche perché parliamo di un ministero-chiave in un Governo che ha come obiettivo prioritario la ripresa del Paese. In questo senso va dato atto alla Guidi, che si dice «certa della sua buona fede e della correttezza del suo operato», di aver tratto subito le necessarie conclusioni, presentando le dimissioni mentre il premier è in missione negli Usa.

È però altrettanto evidente che per l’esecutivo non finisce qui e che il contraccolpo politico resta forte in termini di immagine. Perché, dopo il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, un altro titolare di un dicastero fondamentale è costretto ora a lasciare. E perché il tema dei legami familiari e dei conflitti d’interesse (il padre della Boschi è coinvolto nel crac di Banca Etruria), allunga le sue ombre sull’attività di governo con il rischio di eroderne l’efficacia.

Senza alzare polveroni (tra l’altro il progetto Tempa Rossa sul quale è caduta la Guidi è un’opera in sé necessaria), questa deve essere l’occasione per un riflessione seria sul tema della credibilità dell’esecutivo e per evitare di farci ri-conoscere, all’estero, come i “soliti” italiani.

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