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Il monito inutile della signora Paola

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imprese & legalità

Il monito inutile della signora Paola

Otto mesi fa, era luglio, in un’azienda agricola di Andria morì sul lavoro la signora Paola Clemente, dopo aver percorso 150 km in pullman, che come ogni giorno avrebbe ripercorso al contrario, se fosse rimasta viva. In quel periodo la signora Paola scartava i chicchi ammalorati dai grappoli d’uva (acinellatura) per meno di 3 euro all’ora: una cifra incivile, che si ottiene sottraendo in nero dal compenso ufficiale il costo del trasporto e quello dell’intermediazione dell’agenzia che possiede il bus delle quotidiane migrazioni e che ora tenta di respingere in tribunale l’etichetta infamante di praticare il caporalato.

La signora Paola era solo uno delle migliaia di lavoratori irregolari – circa 50mila solo in Puglia – che a ogni stagione di raccolto subiscono il furto di dignità e salute. Otto mesi fa, per qualche settimana, la notizia di quella morte fu rilanciata dai media con aggiornamenti di cronaca, reportage sul popolo anonimo degli stagionali, analisi, anatemi e promesse.

Il caporalato new style, quello che si camuffa dietro la somministrazione del lavoro in affitto, fu anche brevemente studiato da una commissione parlamentare. I sindacati del settore rivendicarono i numerosi e risalenti allarmi a cadenza annuale, i Medici per i diritti umani (Medu) trovarono spazio per il loro studio sulle condizioni di vita delle migliaia di braccianti pagati a cottimo (parola che pareva in disarmo).

A fine agosto, spinto dall’emozione nazionale per la morte della signora Paola, il ministero delle Politiche agricole rese velocemente operativa la «Rete lavoro agricolo di qualità», già varata oltre un anno prima. Alla Rete possono aderire le aziende dotate di certificazione etica, cioè che dichiarino tra l’altro di non voler essere gli utilizzatori finali di lavoro abusivo. A oggi, le imprese agricole della Rete sono 193.

E siamo ai nostri giorni. A metà febbraio è andato a fuoco il ghetto di Rignano Garganico (FG), un inferno di baracche senz’acqua corrente , luce né servizi igienici, abitato in condizioni subumane da centinaia di immigrati che diventano migliaia nei mesi dei raccolti, iniziati proprio in questi giorni (fragole, pomodori, meloni, uva ecc.). Il rogo ha quasi cancellato il più grande dei 20 ghetti in suolo dauno, serbatoi di braccia a poco prezzo, dominati dal racket dei caporali che dominano il mercato della raccolta agricola, imponendo tariffe e silenzio. Un incendio doloso? Forse non si saprà mai.

Pochi giorni fa, comunque, la Procura di Bari ha sequestrato ciò che è rimasto del ghetto di Rignano, ha identificato quanti vi si trovavano, ne ha allontanati 40 perché irregolari e ha affidato agli altri l’uso degli ultimi ripari. Esattamente due anni fa, il 4 aprile 2014, l’allora Governatore Nichi Vendola presentava, spalleggiato da ben cinque suoi assessori, il piano «Capo free-ghetto off» (intuibile il significato del lezioso anglo-italiano: liberi dal caporalato- via il ghetto). Piano fallito, visto che caporali e rifugi malsani sono ancora lì.

Questo il sommario riassunto delle vicende pugliesi, purtroppo simili a tante altre che si rinnovano, anno dopo anno, dal Monferrato alla Sicilia. Non resta che aggiungere una annotazione e formulare una facile previsione. Tra quanti hanno tentato (con scarso successo) e stanno ancora tentando di cambiare qualcosa, non c’è un’adeguata presenza delle imprese. E qui non c’entrano il coraggio di fronteggiare le mafie o gli spietati trafficanti di esseri umani.

Qui c’entra il valore medievale che in troppi attribuiscono al lavoro, illudendosi di praticare l’illegalità come fattore di concorrenza. Il lavoro in affitto si può utilizzare in modo corretto, non c’è alcun divieto di conteggiare il numero vero di giornate lavorate, di rispettare le paghe contrattuali o le misure di sicurezza. C’è, invece, una volontà diffusa e miope di violare le leggi come dimostra l’esangue Rete di qualità.

Da qui, la facile previsione: anche nella stagione 2016, con il montare del caldo, si tornerà a raccontare di altre signore Paola, magari non italiane, magari con il volto di immigrati appena sbarcati dopo la barbarie delle reti spinate di Idomeni.

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