Chiunque ascolti a Washington le analisi sull’instabilità finanziaria che grava sul nostro capo non può non scuotere la testa pensando a come il progetto di unione bancaria europea si sia arenato. L’intento era di stabilizzare il credito e di rompere il legame tra le crisi bancarie e quelle del debito sovrano che tanti problemi aveva creato all’Italia e ad altri Paesi. Tuttavia i progressi si sono fermati una volta istituito un sistema di regolazione e supervisione comune, lasciando inattuati i meccanismi di condivisione dei rischi, cioè il fondo di risoluzione bancaria e l’assicurazione comune dei depositi. Prevale l’ideologia secondo cui chi patisce una crisi ne ha in qualche misura colpa.
Basterebbe osservare onestamente la natura dei rischi che incombono oggi su un mondo assuefatto a livelli esorbitanti di debito per capire che non è sempre così. Molti fattori di stabilità del passato si stanno trasformando in fonti di problemi. Il Fondo monetario per esempio ha presentato ieri alcuni dati sui nuovi rischi di instabilità finanziaria che provengono dai mercati emergenti, un tempo motore di crescita del mondo. Gli investitori ritirano da quei mercati titoli per oltre 50 miliardi al trimestre, in particolare da Cina e Russia. Sono fenomeni giganteschi, scappati al controllo macroprudenziale, come se le istituzioni di vigilanza non fossero mai in grado di controllare le concentrazioni dei rischi nelle banche, né l’aumento delle leve finanziarie. Le conseguenze della Cina sul dollaro hanno già fatto cambiare decisioni alla Banca centrale americana, ma condizionano anche la crescita europea e l’intero processo di globalizzazione. Il calo della produttività nei Paesi emergenti ha carattere strutturale, ha quindi conseguenze permanenti sul dinamismo del commercio globale.
L’Fmi mette anche a fuoco il pericolo che viene dalle compagnie di assicurazione che dovrebbero svolgere un ruolo di protezione contro i rischi economici e finanziari, ma che invece si trovano sempre più coinvolte nei rischi finanziari - anche se meno delle banche - con un potenziale di destabilizzazione sul resto del sistema economico che era sconosciuto fino a pochi anni fa.
È perfino ovvio considerare poi gli enormi rischi geopolitici che circondano l’Europa, ma lo è di meno osservare lo speciale rischio che viene dalla cattiva risposta politica che siamo in grado di offrire. Un esempio viene dalla pubblicazione di una conversazione riservata interna al Fondo sulla questione del debito greco. Il delegato del Fondo confida che a giugno il referendum su Brexit potrebbe catalizzare una nuova crisi in Grecia (e quindi anche nel resto dell’euro-area) forzando la mano alla cancelliera Merkel che si oppone a un taglio del debito greco. Se la vicenda Brexit è una penosa testimonianza della politica inglese, anche la condizione della cancelliera si dimostra problematica: irritare Atene nei prossimi mesi significa mettere a rischio il costoso accordo con Ankara sul transito dei rifugiati tra Turchia e Grecia, da cui dipende la sopravvivenza politica della cancelliera. L’intreccio di incapacità politiche crea problemi comuni che non smettono di ingigantirsi.
Ma non basta. L’incapacità dei governi nazionali di investire capitale politico nel progetto europeo, fa sì che gran parte dell’integrazione sia appesa alla politica monetaria iper-accomodante della Bce. In una cornice di crescenti rischi finanziari, la Bce offre grandi quantità di liquidità alle banche tassandola se non viene impiegata alla ricerca di rischi. È probabilmente inevitabile che sia così, visto che gran parte della rischiosità scomparirebbe se le politiche di stimolo riattivassero la crescita economica. Ma se poi la vigilanza inasprisce le punizioni per chi assume i rischi, finisce per neutralizzare gli stimoli.
In questo quadro di forti instabilità potenziali, come detto, l’Italia avrebbe bisogno che l’euro-area completasse l’unione bancaria. Invece il progetto di stabilizzazione del credito è bloccato anche dai sospetti sui problemi accumulati dal sistema finanziario italiano. Ci sono molte ragioni per ritenere che le autorità di vigilanza europee e la loro guida franco-tedesca esercitino un eccesso di severità nei confronti del sistema italiano. Di fronte a rischi come quelli che abbiamo descritto, anche la rigida applicazione del bail-in sui vecchi debiti è parsa un accanimento brutale. Tuttavia, la pressione è quantomeno servita a far maturare una risposta virtuosa, avviando dopo molti ritardi il processo di aggregazione bancaria all’interno di un sistema poco redditizio e quindi privo di incentivi interni ad aumentare di dimensioni. Sappiamo che non è vero che chi subisce una crisi ne ha colpa. Oggi più che mai, date le interazioni globali. La vera colpa sarebbe tardare nel prepararsi al rischio di prossime crisi.
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