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La risposta al super-bund? Investire sull’economia

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mercati e tassi zero

La risposta al super-bund? Investire sull’economia

Definire i titoli di Stato tedeschi come «porti sicuri» ormai fa quasi sorridere. Considerando che il 68% del debito pubblico della Germania offre tassi d’interesse negativi, l’unica cosa «sicura» è che acquistarli significa perdere soldi. E lo stesso vale per i bond di molti altri Paesi, dato che ormai affogano sotto zero titoli di Stato globali per oltre 6mila miliardi di dollari. Di fronte a questo ennesimo paradosso di una politica monetaria portata all’eccesso in molti angoli del mondo (a partire da Europa e Giappone), viene da chiedersi se le banche centrali non abbiano finito le munizioni senza aver ancora raggiunto il loro obiettivo di crescita e di inflazione. Viene da domandarsi se gli effetti collaterali dei tassi a zero (che penalizzano le banche, le assicurazioni e i fondi pensione) non possano presto superare i benefici.

Queste domande sono legittime (non è un caso che le Borse peggiori quest’anno siano proprio quelle dei Paesi con le politiche monetarie più aggressive), ma guardano il problema da una parte sola. I tassi a zero o sotto zero possono (devono) anche diventare un’occasione per dirottare gli investitori su nuovi lidi. Più vicini all’economia reale. Insomma: i Bund sotto zero oltre ad essere un paradosso possono essere visti anche come il mezzo per creare in Europa e in Italia un mercato alternativo degli investimenti. Se i Bund non sono più «sicuri» in senso stretto, l’occasione è quindi ottima per sviluppare nuove tipologie d’investimento «diversamente sicure»: per esempio quelle che vadano a finanziare le infrastrutture o la crescita delle Pmi. Quelle che vadano a portare sviluppo, investimenti. L’Europa e l’Italia si sono mosse negli ultimi anni in questa direzione, con molte riforme: da quella dei minibond a quella dei project bond. Gli investitori che cercano alternative redditizie nell’economia reale, ormai, sono tanti. Eppure, ancora, queste forme alternative d’investimento non decollano davvero. Soprattutto in Italia.

I Project bond, quelle obbligazioni che finanziano infrastrutture o rifinanziano operazioni di project financing, stentano a decollare davvero. La normativa in Italia è completa. Ma le operazioni sono ancora poche: negli ultimi anni sono stati rifinanziati alcuni progetti fotovoltaici, l’autostrada Brescia-Padova o l’ospedale di Garbagnate, ma questo è nulla in confronto alla mole di opere pubbliche da realizzare. In questi giorni la Banca Europea per gli Investimenti contribuirà a un’operazione pilota di project bond per rifinanziare il debito legato alla costruzione del Passante di Mestre. Ma il mercato ancora deve decollare.

Come devono partire davvero anche i minibond, sebbene in questo caso i numeri siano più grandi. Fino ad ora, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, 145 imprese hanno emesso minibond, ma solo 65 sono davvero Pmi. Il mercato fatica a prendere piede perché gli investitori sono ancora pochi e poco forniti di capitale: i fondi specializzati per investire in questi titoli sono in Italia 23, ma solo la metà è già attiva. E tutti hanno fatto una gran fatica a raccogliere fondi: secondo i dati dell’Aifi, attualmente questi investitori sono riusciti a raccogliere 923 milioni di euro, contro un obiettivo dichiarato di 5,5 miliardi. Discorso analogo per il settore del private equity: attualmente questi fondi hanno in essere investimenti nelle imprese italiane pari allo 0,113% del Pil, cioè meno della metà della già magra media europea.

Mettendo insieme questi dati e i rendimenti a zero (o sotto zero) di molti titoli di Stato, viene da chiedersi come mai gli investitori non si fiondino in massa su queste forme alternative d’investimento. Anche in Italia. La fame di rendimenti è elevata, soprattutto tra le assicurazioni e i fondi pensione che devono garantire molto spesso prestazioni predefinite. Il contesto normativo va nella direzione giusta, grazie alle riforme varate di recente in Italia ma anche grazie al lavoro in corso in Europa per la Capital Market Union. Eppure il mercato finanziario per le infrastrutture, per le Pmi, per gli investimenti reali non decolla.

È qui che il Governo e l’Europa devono intervenire. In Italia ci sono ancora normative incomplete o farraginose, per esempio sui private equity o sui minibond. Lo scorso anno è stato introdotto un credito d’imposta per i fondi che investono nell’economia reale, in modo da agevolarli: poi, però, si sono persi 10 mesi per definire cosa sia effettivamente l’«economia reale». Il project bond per rifinanziare il Passante di Mestre si è bloccato per mesi a causa delle elezioni in Veneto. E se si parla con gli addetti ai lavori, di aneddoti o di contraddizioni se ne trovano a decine. Per questo è necessaria un’azione sistemica, in Italia e in Europa, per favorire ulteriormente la nascita di un vero mercato dei capitali in grado di far arrivare la liquidità dove serve. Perdere questa occasione, nell’era dei tassi sotto zero, sarebbe davvero un delitto.

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