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Intesa Sanpaolo, un tesoro di carta e persone

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Italia

Intesa Sanpaolo, un tesoro di carta e persone

I numeri scanditi con tranquillo orgoglio dal Professor Bazoli. Le immagini in bianco e nero proiettate alle spalle dei relatori, che hanno restituito il calore e l’emozione di una vicenda fatta di quotidianità e di grandi eventi, di vicende personali e di storie di impresa.

Alla presentazione del volume curato da Francesca Pino e da Alessandro Mignone Memorie di valore. Guida ai patrimoni dell’Archivio storico di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli ha scelto la cifra semplice dei numeri per rappresentare la peculiarità di una operazione culturale estremamente complessa e sofisticata: «12mila faldoni, 7.300 registri, 4.300 mappe, 44mila foto, 35mila fascicoli matricola e 2.900 oggetti. Più la biblioteca». Una massa imponente di documenti, che oggi forma uno dei patrimoni documentali e analitici principali del nostro Paese.

Sono oltre trecento le banche che hanno dato vita alla Cariplo, alla Comit, al Banco Ambrosiano Veneto e all’Imi. Le quali, a loro volta, sono stati elementi essenziali per la formazione dell’attuale Intesa Sanpaolo. «La ricchezza italiana del pluralismo bancario – ha riflettuto il Professor Bazoli – ha consentito il declinarsi di una molteplicità di profili culturali, di rapporti fra banca e industria e di attitudini all’internazionalità». Questa poliedricità si è rispecchiata nei giacimenti culturali – formali e informali – rappresentati dalle diverse banche. Nei depositi e negli archivi, negli uffici e nelle filiali dei quattro istituti di credito è stato dunque compiuto un lavoro assiduo e oscuro – sempre preziosissimo – di salvataggio e di riorganizzazione delle diverse componenti di Intesa Sanpaolo. Questa opera archivistica, indirizzata dal Professor Bazoli e coordinata in particolare da una intellettuale solida e di rapida operatività come Francesca Pino, ha cercato di contemperare la conservazione delle specificità e l’inserimento delle diverse anime bancarie in un quadro generale coerente e conchiuso. Un quadro che poi si è espresso anche attraverso il lievito delle nuove tecnologie, con la maggior parte dell’archivio storico messo a disposizione – in forme dirette o indirette – degli studiosi attraverso le nuove tecnologie.

«Uno sforzo notevole – ha notato Marco Carassi, già Soprintendente archivistico per il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Lombardia – che parte prima di tutto dal salvataggio fisico delle fonti e passa attraverso la loro riorganizzazione». Un lavoro che, appunto, ha avuto come ricaduta il volume edito da Hoepli e presentato ieri a Milano.

«Quanto vale tutto questo?», ha chiesto il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano, incaricato di moderare la tavola rotonda, a Luciano Segreto, storico dell’economia che insegna all’Università di Firenze. «Vale almeno quanto il tesoro che si trova nei caveau di Intesa Sanpaolo», ha risposto con convinzione Segreto. Sì, perché nell’opera di costruzione di un grande aggregato archivistico ci sono le chiavi – mille chiavi – per la comprensione dei grandi fenomeni storici e per l’analisi dell’identità nazionale, di cui la vicenda del credito – nelle due componenti, la laica e la cattolica – è magna pars. «Questa sfida di ricerca – ha aggiunto Segreto – ha avuto una difficoltà e una importanza pari a quelle assunte dalle fusioni industriali e finanziarie, regolamentari e identitarie delle molte banche che, nel corso dei decenni, hanno contribuito a determinare l’attuale assetto di Intesa Sanpaolo».

L’edificazione di questa vera e propria infrastruttura intellettuale del Paese è avvenuta adoperando gli stilemi culturali più diversi: «Non soltanto la carta amministrativa, ma anche i cimeli e le immagini. Da una molteplicità di fonti è possibile avere una lettura interpretativa non episodica, ma scientifica», ha chiarito Francesca Pino. «Questa eterogeneità di fonti e di materiali produce sinapsi cognitive», ha spiegato la storica dell’arte Giovanna Ginex, mentre dietro di lei c’era l’immagine del manifesto realizzato da Giovanni Greppi nel 1917 per il quarto prestito nazionale della Banca Commerciale, un giallo acido modernissimo sul cui sfondo si vedevano rovine e cannoni.

La ricchezza di questa impostazione concettuale è stata sperimentata da tutti i presenti – in un Centro Congressi Cariplo di via Romagnosi affollato da una platea di giovani bancari e da meno giovani ex bancari oggi indubitabilmente in pensione – attraverso appunto il fascino delle immagini proiettate. I volti, compostamente ieratici, dei “padri fondatori”: Raffaele Mattioli e Secondo Piovesan, Giordano Dell’Amore e Stefano Siglienti. Il verbale della prima seduta del consiglio di amministrazione della Banca Commerciale Italiana, vergato con caratteri goticheggianti l’addì 31 ottobre 1894. Il meraviglioso salone d’entrata della Comit di Via Mariano Stabile a Palermo: l’architettura è firmata da BBPR, mentre il dipinto elicoidale dell’ingresso è di Renato Guttuso. La sezione del credito agrario di Golasecca, in provincia di Varese, della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde: una piccola casetta bianca su una strada di campagna dove i contadini entravano con il cappello in mano per chiedere un sostegno alle loro attività. L’operaio al lavoro, nel 1939, della Società Scientifica e Radio Brevetti Ducati. I documenti dell’Imi, che per esempio ha finanziato Togliattigrad. Internazionalizzazione e sviluppo italiano. «Questo libro – ha detto Napoletano – è la dimostrazione cromosomica dell’impegno civile e della vocazione internazionale di Milano e di quello che hanno saputo fare i suoi uomini di impresa e i suoi banchieri migliori». Ma è anche qualcosa di più. «Ogni banca con la sua peculiarità e la sua collocazione nella storia unitaria – ha aggiunto Napoletano – basti ricordare che, fra il 1961 e il 1969, l’Imi ha visto salire le operazioni compiute nel Mezzogiorno dal 15% al 50% del suo totale».

Questa operazione culturale, finora, è riuscita. «Con l’obiettivo, nel pieno ossequio degli standard della ricerca internazionale, di conservare le memorie di valore e le memorie dei valori», ha chiosato il Professor Bazoli.