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Il primo passo sul sentiero della crescita, ora tocca all’Ue

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l’analisi

Il primo passo sul sentiero della crescita, ora tocca all’Ue

La vera scommessa del Def oggi all’esame del Consiglio dei ministri non è spuntare qualche decimale in più o in meno di deficit nella trattativa con Bruxelles, ma imboccare un sentiero che per la verità appare molto stretto: provare comunque a spingere sulla crescita, anche attraverso il nuovo pacchetto di misure allo studio (esenzione totale del prelievo sui capital gain per chi investe sulle Pmi e sgravi sugli utili reinvestiti).

In tal modo – lo ha annunciato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan – si potrà ottenere un incremento dello 0,2% di Pil, che salirebbe all’1% nel lungo periodo anche grazie al percorso di riforme strutturali e al sostegno alle politiche del lavoro prevista dall’agenda governativa. Il problema è l’uscita da oltre tre anni di recessione si sta mostrando più ardua delle ben più rosee aspettative, su cui si è costruita la strategia di politica economica per buona parte del 2015. Arduo, con le turbolenze in atto sui mercati che riportano lo spread a 130 punti base, in un contesto di perdurante, estrema fragilità dell’economia globale per il concomitante operare di diversi fattori, affidare la spinta alla crescita solo alla componente interna di “stimolo” della domanda.

Soprattutto se alle azioni di politica economica tutte domestiche non si affiancherà una strategia europea che marci nella stessa direzione. Il che vuol dire robuste iniezioni di investimenti soprattutto pubblici, flessibilità di bilancio che apra spazi effettivi alla riduzione della pressione fiscale. Lo stesso meccanismo della Comunicazione sulla flessibilità del 13 gennaio 2015 andrebbe rivisto e aggiornato. Va bene prevedere scostamenti momentanei dai target di finanza pubblica, se un paese è fuori dalla procedura per disavanzo eccessivo, e dunque può fruire degli spazi di manovra previsti dal dispositivo originario del Patto di stabilità. Va anche bene circoscrivere la flessibilità alle clausole sulle riforme e gli investimenti. Discutibile limitarne l’effetto cumulato allo 0,75% del Pil. E poi va ripensato l’ambito di applicazione delle cosiddette circostanze eccezionali, per ora limitate a fasi recessive prolungate e alle conseguenze di gravi calamità naturali. In poche parole, se pur con le accortezze del caso, i costi sostenuti per la sicurezza dovrebbero essere esclusi dal calcolo del deficit. L’offensiva del terrorismo non è un’emergenza? E i migranti?

In un contesto che presenta obiettivamente diversi elementi di fragilità e di incertezza, le grandi cifre del Def (crescita, debito, deficit) dovranno essere necessariamente aggiornate in corso d’opera. Di fatto il vero appuntamento slitta a settembre, quando si comincerà a definire i contorni della prossima manovra di bilancio.

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