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Investimenti e marketing così il vino si è rilanciato

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come cambia il made in italy

Investimenti e marketing così il vino si è rilanciato

I dati diffusi ieri da Mediobanca nella tradizionale indagine annuale sul settore del vino che precede l’avvio di Vinitaly a Verona (domenica prossima l’inaugurazione alla presenza del Presidente della Repubblica), fugano gli ultimi dubbi e i pregiudizi atavici attorno a uno dei settori cardine del made in Italy.

Dietro l’immagine superficiale del successo - il glamour, le popstar vignaioli nel Chianti, le aste milionarie - ci sono i fondamentali del fare impresa. Gli investimenti, l’innovazione di prodotto e di processo, il marketing finalizzato a conquistare i nuovi mercati, l’esatto posizionamento del rapporto qualità-prezzo delle bottiglie.

Un numero per tutti: le prime 125 imprese italiane del vino nel 2015 hanno incrementato del 18% gli investimenti che oggi ammontano a quasi il 7% del fatturato.

Un lavoro che viene da lontano e che solo negli ultimi anni è andato a regime consentendo agli imprenditori di conseguire risultati consistenti. L’anno scorso il fatturato del settore è cresciuto del 4,8%, l’export del 6,5% e persino il mercato domestico, con i suoi consumi asfittici e i prezzi ai limiti della deflazione, è cresciuto del 3,1%. L’occupazione è salita del 2,4% e per il 2016 il 92% delle cantine prevede di aumentare ancora il fatturato.

L’intuizione di trenta anni fa, dopo lo scandalo del metanolo di cui nei giorni scorsi è caduto l’anniversario - diminuire drasticamente le quantità e aumentare la qualità - è stata illuminante. Dal 1986 la produzione italiana di vino è crollata da 76,8 a 47,4 milioni di ettolitri, i consumi pro capite
da 68 a 37 litri. Contemporaneamente, i vini con indicazione geografica sono saliti a 73 docg, 332 doc e 118 igt, dal 10 al 66% del totale, due bottiglie su tre. Le esportazioni si sono sestuplicate: dagli 800 milioni del 1986 ai 5,4 miliardi di euro del 2015. Il fatturato è più che raddoppiato, da quattro a 9,4 miliardi.

Ma sedersi sugli allori proprio oggi sarebbe imperdonabile. L’Italia contende ogni anno alla Francia la leadership della produzione, ma è ancora molto dietro per fatturato.C’è ancora molto da fare su mercati promettenti come la Cina dove nel 2015 c’è stato un pericoloso arretramento; sull’innalzamento ulteriore della qualità per poter incrementare il prezzo medio delle etichette; sulla creazione di fenomeni di marketing globali capaci di trainare il mercato come è avvenuto Ù
con il Prosecco.

Gli imprenditori chiedono di agire su due leve: sburocratizzare il settore; rilanciare la promozione e utilizzare la leva delle fiere. Due strade intraprese, un po’ timidamente, con il testo unico del vino che sarà presentato proprio a Vinitaly e con il piano di iternazionalizzazione. Occorre accelerare.
Si può fare di più.

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