Come nelle attese, il Fondo monetario internazionale ha corretto nuovamente al ribasso le previsioni per la crescita dell’economia mondiale che, nell’anno in corso, si espanderà del 3,2%. La correzione, pari a quasi mezzo punto percentuale rispetto all’esercizio previsionale di ottobre, riflette l’ulteriore rallentamento delle economie emergenti e l’indebolimento della ripresa tra quelle avanzate. Tra queste ultime, l’Eurozona (e la Germania) dovrebbe espandersi all’1,5% nel corso dell’anno: per l’Italia il dato previsionale è stato ridimensionato all’1%, di poco inferiore alla Francia (1,1%), mentre la Spagna conferma la sua performance al 2,6%.
Sono due gli elementi che emergono da questa nuova batteria di previsioni dell’Fmi. In primo luogo, il complesso delle economie emergenti rivela una crescente differenziazione al suo interno, a cominciare dalle economie sistemiche dei Bric: mentre l’India si conferma il Paese con la crescita più elevata (7,5%), la Cina prosegue nella sua fase di ristrutturazione con un tasso di espansione che, pur inferiore ai valori storici, continua a mantenersi oltre il 6% (6,5%); in Brasile e Russia, invece, si inasprisce la contrazione del Pil (rispettivamente -3,8% e -1,8%) riflettendo l’accresciuto rischio politico delle rispettive economie; infine, i Paesi esportatori di materie prime continuano a risentire della caduta dei prezzi di tali materie.
Per le economie avanzate, poi, si conferma l’appiattimento delle prospettive di crescita oltre l’anno in corso con un tasso di espansione di solo l’1,8% previsto entro la fine del prossimo quinquennio. Da un lato, tale appiattimento riflette il ridimensionamento del tasso di crescita potenziale in seguito a un periodo assai prolungato di consumi deboli e investimenti fiacchi che, a loro volta, indeboliscono ulteriormente la domanda aggregata.
Dall’altro, l’appiattimento delle prospettive di crescita è indicativo di una dinamica nuova relativa all’incertezza con cui le economie avanzate possono contrastare shock avversi nel futuro.
Con la politica monetaria già iperaccomodante e margini di manovra assai stretti per un eventuale stimolo fiscale, la capacità delle autorità di politica economica di rispondere a un nuova ondata recessiva appare contenuta se non compromessa, inducendo a una maggiore prudenza nelle decisioni di consumo e di investimento, indebolendo così ulteriormente la domanda aggregata e, per tale via, le prospettive di crescita.
Di fronte a questo quadro particolarmente complesso, la cooperazione internazionale ha delle armi spuntate poiché non vi è una ben definita iniziativa internazionale che i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali dei Paesi membri dell’Fmi possano concordare a Washington questa settimana. La risposta, semmai, richiede una strategia articolata che rifletta la complessità del quadro economico. Occorre continuare con politiche monetarie e fiscali accomodanti e vanno intensificate le misure strutturali. Mentre le politiche monetarie dovrebbero rimanere iperespansive per combattere forze deflazionistiche, soprattutto nell’Eurozona, nell’analisi dell’Fmi vi sono ampi margini per aumentare l’impatto delle politiche fiscali, da un lato, incrementando l’efficienza della spesa pubblica e migliorandone la composizione e, dall’altro, accrescendo l’interazione tra politiche fiscali e politiche strutturali. Per esempio, come ha notato il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, il Pil delle economie avanzate potrebbe crescere di 5 punti percentuali addizionali se gli investimenti in ricerca e sviluppo del settore privato aumentassero del 40% grazie all’aiuto di incentivi fiscali. In assenza di iniziative incisive, l’alternativa è rassegnarsi a un quadro di crescita fiacca che espone, tuttavia, l’economia mondiale a una molteplicità di rischi depotenziando la capacità di reazione dei policymakers a shock avversi.
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