A poco più di 48 ore dal voto Matteo Renzi prende carta e penna e in una delle sue periodiche e-news definisce il referendum di domenica «la bufala trivelle». Il premier e segretario del Pd - come è noto - si è espresso in favore del non voto con l’obiettivo di far mancare il quorum del 50% più uno degli elettori previsto per i referendum abrogativi, e in tal senso ha schierato anche il partito pur tra le proteste della minoranza interna. Eccole, le sue argomentazioni: «Non c’è nessun referendum sulle trivelle. Non c’è una sola trivella in discussione: solo la scelta se continuare a estrarre carbone e gas fino all’esaurimento del giacimento senza sprecare ciò che già stiamo utilizzando - scrive Renzi -. Il referendum voluto dai consigli regionali, non dai cittadini, non vieta nuovi impianti: rende solo impossibile continuare a sfruttare quelli che già ci sono. La bufala è questa: dicono che si voti sulle rinnovabili. In realtà si chiudono impianti che funzionano, facendo perdere undicimila posti di lavoro e aumentando l’importazione di gas dai Paesi arabi o dalla Russia».
Dopo Romano Prodi, che giorni fa ha definito «una pazzia» l’ipotesi di chiudere gli impianti funzionanti, ieri a Renzi è arrivato l’aiuto del Presidente emerito Giorgio Napolitano, che in un’intervista a Repubblica ha sostenuto le ragioni anche costituzionali di non recarsi al voto in presenza di quorum. Contrariamente a quanto sostenuto dal presidente della Consulta Paolo Grossi, che ha parlato di «dovere» del voto, e contrariamente a quanto sostenuto, va da sé, da tutte le opposizioni e dalla minoranza del Pd. «È inaccettabile che sul referendum del 17 aprile il premier faccia il capo del partito dell’astensione», dice per tutti il bersaniano Roberto Speranza. Che non solo andrà a votare, ma voterà anche “sì”. Sul piede di guerra naturalmente l’opposizione vera, quella del M5S, con Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista che dicono che «la posizione di Napolitano è una ragione in più per votare sì». E Fi, che conRenato Brunetta salta ogni questione di merito invitando a «mandare a casa Renzi». Da parte sua il premier non affonda troppo la mano sul tasto dell’astensione: «Sia chiaro, ogni scelta è legittima: votare sì, astenersi o non votare». Cautela dovuta al fatto che il suo stesso partito è diviso sulla scelta del non voto, e soprattutto al fatto che gli ultimi sondaggi finiti sul tavolo di Palazzo Chigi qualche preoccupazione la destano. Il quorum potrebbe anche essere raggiunto, è la valutazione dei sondaggisti: «L’affluenza è attorno al 50%, appunto, e il raggiungimento del quorum è come si dice tecnicamente equo-probabile». Ossia ci sono statisticamente le stesse probabilità. Richiesti di opinione personale, i sondaggisti in questione scommettono sul non raggiungimento del quorum. Ma i fattori in gioco sono molti e non c’è alcuna certezza. Un dato poi è significativo: le ultime rilevazioni hanno registrato, fra coloro che hanno già deciso di andare a votare, un 10% che si dice ancora più convinto dopo il caso Guidi. Dato considerato rilevante dagli addetti ai lavori, dal momento che molto difficilmente i fatti di cronaca giudiziaria influiscono sulle intenzioni di voto.
Non solo trivelle. A Palazzo Chigi si tengono naturalmente le dita incrociate per il voto di domenica, ma il referendum che sta a cuore a Renzi è un altro, quello di metà ottobre sulla riforma del Senato e del Titolo V. In questo caso, essendo un voto confermativo di una modifica costituzionale, non ci sarà quorum e il premier ha già detto di considerare una vittoria il successo dei sì con qualsiasi percentuale di votanti. Molto probabilmente già oggi pomeriggio potrà sarà pubblicata in Gazzetta ufficiale la notizia dell’approvazione da parte del Parlamento del Ddl Bosci, atto da cui può partire l’iter per la raccolta delle firme. I primi a muoversi sembra siano i parlamentari delle opposizioni riunite, ossia Forza Italia Lega Movimento 5 stelle e Sel, che ieri hanno annunciato la raccolta delle firme necessarie (un quinto) in Senato. Ad ogni modo la campagna referendaria sta per partire e Renzi ha fatto capire chiaramente di volersela giocare su più piani: il supporto del partito, fin dove possibile vista la reticenza della sinistra interna, ma soprattutto la rete di comitati “spontanei” della società civile. «Sarà formato un Comitato nazionale guidato da personalità e studiosi che nel corso della campagna avranno la responsabilità di illustrare i temi di merito e le ragioni della riforma - scrive Renzi -. Poi ci sarà la possibilità per almeno dieci cittadini di riunirsi assieme e di fare un comitato spontaneo sia sulla base territoriale che sui luoghi di lavoro o nelle realtà culturali: una grande occasione per avvicinarsi alla politica e alla partecipazione». E anche, perché no, un’occasione per selezionare futura classe dirigente... Modello Leopolda, insomma. Altro che sezioni di partito. Il Pd, per ora, rientra nei radar per una direzione ad hoc «nelle prossime settimane».
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