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La leadership europea che manca

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POLITICHE PER LA CRESCITA

La leadership europea che manca

Alle riunioni di primavera del Fondo monetario non si parla d'altro: l'Europa procederà verso una maggiore integrazione o verso un'inesorabile disintegrazione? Le ricette che ascoltiamo nei comunicati formali, stimolo, riforme, sono quelle dei vecchi manuali, nulla di nuovo sotto il sole. Ma non bastano più. Manca un altro paradigma, che passa inevitabilmente per un cambiamento radicale dell'atteggiamento tedesco. Una posizione questa condivisa soprattutto dall'America, che la invoca da tempo.

Questo perché un indebolimento strutturale dell'Europa avrebbe, secondo Washington, pericolose conseguenze geopolitiche oltre che economiche.
Ma procediamo con ordine. C'è un tema comune e ricorrente quando si parla di Europa. La crescita si è indebolita. Per recuperare energia occorre agire su tre elementi, su una politica monetaria espansiva, su una politica fiscale attivista e su nuove riforme strutturali. Lo hanno ripetuto tutti, dalla signora Lagarde in conferenza stampa due giorni fa, ai documenti del Fondo, a vari ministri economici incluso il nostro Pier Carlo Padoan, al comunicato del G-20 di ieri fino alle dichiarazioni del presidente di turno, il ministro delle Finanze cinese Lou Jiwei. Con un messaggio: la politica monetaria ha già fatto molto e di più non può fare. Adesso ci vogliono azioni sul fronte fiscale e completamento delle riforme strutturali.
Con l'eccezione della politica monetaria, il ritornello è lo stesso che ascoltiamo in questi corridoi da oltre 20 anni fino al pre crisi e al post crisi 2007/2009. Ma il vero scossone, quello su cui gli europei si erano impegnati già nel 2012 agli incontri del G-20 a Los Cabos, non c'è mai stato. Non che ci fossero allora cose rivoluzionarie. C'era l'idea di lanciare obbligazioni pilota europee, di aumentare il potere di fuoco della Bei, di integrare più rapidamente il settore finanziario e di procedere entro i due anni successivi con un'impalcatura per l'unione fiscale, e chissà, magari con una sospensione temporanea del rigido rapporto del 3% fra disavanzo e Pil per i Paesi membri.
Attenzione, la sospensione deve essere formale, con il beneplacito della Germania. Non solo di fatto come già succede per la Francia o la Spagna. È ovvio che l'Italia si sente oggi vulnerabile agli attacchi del mercato se andasse al di sopra del 3% senza un nuovo paradigma a tutto campo. Mancherebbero infatti l'approvazione esplicita e nuove garanzie condivise e valide per tutti, senza le quali il nostro Paese resterebbe più esposto. Anche le obiezioni ai limiti italiani le conosciamo: abbiamo allocato solo una piccola percentuale dei fondi europei ai giovani, non abbattiamo deduzioni fiscali (720 voci specifiche) che sembrano fatte apposta per i privilegiati; abbiamo un debito in crescita invece che in diminuzione e così via.

Obiezioni che poggiano sui vecchi manuali, quelli che partono dal presupposto che regole europee e rigidità fiscale tedesca sono un postulato da rispettare. Ed è anche vero che alcuni progressi su base europea ci sono stati, ad esempio per alcuni aspetti dell'unione bancaria. Ma il nuovo paradigma per la crescita, necessario per far saltare il luoghi comuni attorno a cui si ragiona senza successo ormai da troppi anni, non c'è ancora. Perché? Torno a dire, per le resistenze della Germania. E a chi sostiene che Berlino sia un innocente fiorellino premiato per le sue riforme e che si sia già sacrificato fin troppo in nome dell'Europa, ricordiamo le parole di qualche giorno fa del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: Mario Draghi ha il 50% delle responsabilità per la forte crescita del partito nazionalista in Germania. Attacco questo che ha dell'incredibile visto che è stato Draghi a salvare l'Europa. Ma che è rivelatore. Dalla Germania il cambiamento non verrà. E allora? Occorre insistere, ci vogliono attacchi durissimi espliciti da parte del Fondo monetario stesso e degli Stati Uniti oltre che degli Stati membri.

Immaginate dunque per un attimo se i capi di governo europei convocassero un vertice per rafforzare il progetto europeo. Se producessero annunci per un'accelerazione del processo di integrazione finanziaria, per un'innovazione obbligazionaria europea con emissioni garantite dalla commissione e della Bei per duemila miliardi destinati a investimenti infrastrutturali; se annunciassero che il processo per l'unificazione fiscale è in corso e non rimandato a dopo il 2017 per paura delle elezioni in Germania, se concordassero una sospensione “formale” per 5 anni del tetto del 3% nel rapporto fra disavanzo e Pil e così via. E immaginate che l'annuncio venga direttamente dalla signora Merkel. Questo sarebbe sì un cambiamento di paradigma. E i mercati? Non potrebbero che sottoscrivere con entusiasmo. Ma per fare ciò ci vuole leadership. Che in Europa, anzi in Germania, in questo momento - Schäuble docet - manca.

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