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L’Europa si svegli

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l’analisi

L’Europa si svegli

Dopo aver destabilizzato cinque anni fa la Libia facendone a pezzi l’unità nazionale, ora l’Europa tenta di ristabilizzarla per liberarsi dalla doppia minaccia che si è così procurata: il terrorismo dell’Isis che scorrazza dentro e fuori dal Paese e i flussi migratori incontrollati che rischiano di risalire il continente africano per scaricarsi nell’Unione.

Dopo aver sottovalutato a lungo l’estate scorsa l’assalto alla Grecia da parte dei rifugiati, siriani e non, intervenendo con il piano Ue-Turchia di aiuti ed espulsioni a tappeto del 18 marzo scorso, solo quando l’emergenza si è trasformata diventando tedesca e nordica, ora l’Europa comincia a meditare su come evitare di cadere nella stessa trappola due volte: e questa volta con l’Italia al centro di una nuova crisi annunciata.

La consapevolezza dei troppi errori finora commessi dovrebbe aiutarla nella ricerca di una politica comune, interna ed estera, come di una solidarietà figlia dell’interesse collettivo: di puro comodo, non di buon cuore. Che ci riesca è tutto da dimostrare, soprattutto guardando ai troppi muri e arroccamenti nazionali che si sono moltiplicati negli ultimi mesi, fragilizzando l’ordine di Schengen, la libera circolazione di persone e merci, e la stessa Unione.

Vittima designata della prossima ondata migratoria, l’Italia non intende farsi travolgere e nemmeno restare alla finestra aspettando l’intervento riluttante al suo fianco dei partner europei. L’esperienza greca è stata infatti molto istruttiva: nulla li muove fino a che la crisi li tocca direttamente.

Di qui la proposta di un patto europeo di stabilità migratoria costruito sul calco dell’accordo Ue-Turchia, arricchito nei contenuti e applicato ai Paesi africani partendo dalla Libia, porto di partenza consolidato. L’idea è sempre la stessa: outsourcing del problema per ridurre gli arrivi al minimo. In Grecia la ricetta funziona se è vero, lo dicono gli ultimi dati Frontex, che in marzo il numero dei profughi (26.460) si è dimezzato rispetto a febbraio e in aprile la media non supera i 100 al giorno.

Ma la Libia di oggi non è la Turchia, è un Paese che sta faticosamente tentando di lasciarsi alle spalle una guerra civile. Le garanzie che può offrire sono dunque molto più labili e incerte. Anche se, se solo lo chiedesse e previo via libera dell’Onu, l’Unione potrebbe estendere le operazioni navali di Eunavfor contro gli scafisti nel Mediterraneo. Italia, Francia e Spagna ieri si sono dette favorevoli.

Sarebbe un primo passo concreto ma certo non risolutivo. Per questo il piano italiano punta sulla logica del “do ut des” per un governo ordinato dei flussi: i Paesi di origine e di transito si impegnano a controllarli, a farsi carico dei rimpatri, a combattere il traffico di esseri umani. L’Europa ricambierà con aiuti e nuovi fondi europei di supporto, da finanziare anche attraverso l’emissione di “eurobond migranti”.

L’Italia spera che la proposta possa essere discussa al prossimo vertice Ue di giugno. Per ora raccoglie reazioni positive alla Commissione come al Consiglio europeo. Che sono importanti ma, come noto, non bastano affatto in un’Unione dove sono i Governi nazionali i veri grandi decisori e le istituzioni comuni si limitano a prendere nota. Per ora, come prevedibile, la Germania non si è smentita e ha sparato a zero contro l’eventuale ricorso alle eurobbligazioni.

Proprio perché non vuole finire nell’angolo “greco”, soffocato dal muro del Brennero invece che da quello macedone, sospeso di fatto da Schengen, il Governo Renzi prova a rivitalizzare l’Europa in pericolosa dissolvenza. Impresa che al momento pare quasi impossibile. Se ci riuscirà, lo dirà anche il verdetto di Bruxelles circa la compatibilità o meno con le regole Ue della decisione austriaca di murare il confine con l’Italia. Molto dipenderà anche dalla nostra capacità di impedire le fughe verso Nord degli immigrati. Ma molto di più dipenderà dalla capacità europea di arrendersi all’evidenza e farsi lungimirante: la crisi è generale e probabilmente anche strutturale con l’esodo biblico tra due continenti vicini, uno ricco e vecchio, l’altro povero e popolosissimo. Divisi la si subisce, uniti se ne possono anche cogliere le opportunità.

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