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«Uber Act»: come liberare il Paese dalle piccole caste

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LA PROPOSTA

«Uber Act»: come liberare il Paese dalle piccole caste

La battaglia per la liberalizzazione del mercato dei taxi non mi aveva mai entusiasmato. Non perché questa liberalizzazione non fosse sacrosanta, ma perché non l'avevo mai ritenuta una priorità. Con tutti gli oligopoli presenti nel nostro Paese, quello dei taxisti non mi sembrava il più dannoso. Tanto più che Stati Uniti e Gran Bretagna, economie molto più dinamiche della nostra, soffrivano dello stesso problema.

L'arrivo sul mercato di Uber, la società che connette tramite smartphone la domanda e l'offerta di servizi di trasporto, non aveva cambiato radicalmente la mia opinione. Da consumatore ne ero entusiasta. Vivendo in un quartiere periferico di Chicago, faticavo a trovare taxi e li pagavo cari. Adesso in 5 minuti al massimo un Uber è sotto casa, con un'auto più pulita, dei guidatori più gentili, e una tariffa il 40% più bassa. Ciononostante continuavo a vederlo come un gioco a somma zero: io risparmiavo a spese dei taxisti, non esattamente il tipo di redistribuzione che viene considerata socialmente desiderabile.

Dopo aver ascoltato David Plouffe, un tempo consulente politico di Obama e oggi evangelizzatore del messaggio di Uber, ho dovuto ricredermi. L'uso che della tecnologia fa Uber non solo espande il mercato dei trasporti (a vantaggio di tutti), ma trasforma il modo stesso di lavorare. Mi sono reso conto che anch' io ero involontariamente caduto vittima della propaganda dei difensori dell'esistente, a spese del progresso.

L'entrata di servizi come Uber (oggi ce ne sono molti) non è un gioco a somma zero. Riducendo il costo, Uber aumenta enormemente la dimensione del mercato dei trasporti a pagamento. E non lo fa necessariamente riducendo il compenso del guidatore, ma riducendo i tempi morti. L'inefficienza è data dal tempo che un taxista passa inattivo aspettando chiamate. Più questo tempo viene ridotto dalla tecnologia, più ci guadagnano sia il guidatore che il passeggero.

Questa espansione del mercato aumenta l'occupazione (nella sola Chicago ci sono 30mila guidatori Uber), a vantaggio di chi più stenta a trovare lavoro: i neri e le donne. Un terzo dei guidatori di Uber sono donne: una guidatrice si sente più protetta perché fa salire solo clienti che sono preventivamente identificati (devono registrare una carta di credito).

Ma questo è solo uno dei vantaggi. Negli Stati Uniti Uber sta già promuovendo Uber Pool, un servizio in cui i passaggi sono condivisi con altri clienti. Costa il 40% in meno di un normale Uber (e quindi poco più di un terzo di un normale taxi) e allunga di poco il tempo di percorrenza, grazie ad un algoritmo di ottimizzazione dei percorsi disegnato da Uber. Oltre al risparmio per i consumatori, rappresenta anche un risparmio per l'ambiente. Se ogni auto che entra a Milano o Roma avesse altri due passeggeri, ridurremmo di due terzi il traffico e l'inquinamento. Per non parlare degli spazi dedicati ai parcheggi. A Chicago, per la prima volta nella storia, il numero di parcheggi richiesti per un nuovo edificio è sceso, grazie alla riduzione del numero di automobili richieste dagli inquilini. Il fenomeno è così importante da impattare il mercato delle automobili.

In altri termini, la tecnologia permette non solo di produrre meglio ciò che veniva già prodotto (il servizio taxi), ma apre nuovi mercati e crea nuovi modi di produrre, impensabili prima. Dalla consegna di pasti a quella della spesa, sono nati moltissimi servizi ausiliari a Uber.

Tutto questo in Italia è bloccato. Uber è presente nel mercato delle limousine, ma non può operare in quello dei normali trasporti urbani, per proteggere il valore della licenza di pochi taxisti. È una metafora del sistema Italia. Per proteggere le rendite di pochi, si blocca l'innovazione e il progresso, non solo a danno dei più, ma anche a danno dei più deboli. Negli Stati Uniti Uber è considerato il miglior programma di welfare, il metodo più sicuro per emergere dalla povertà.

Il problema non riguarda solo il mercato dei taxi, ma anche quello degli alberghi (dove è entrata Airbnb), e quello del credito, dove stanno cercando di entrare i cosiddetti peer-to-peer lender, ovvero delle piattaforme che fanno incontrare la domanda e l'offerta di credito. Purtroppo quella stessa regolamentazione che è stata incapace di evitarci disastri come quello della Banca Popolare di Vicenza, è molto efficace a ostacolare ogni nuova iniziativa in questo senso. Il potere politico delle lobby sta bloccando la modernizzazione del Paese. Nel 21° secolo, rischiamo di confinare l'Italia alle tecnologie del Novecento.

Rivoluzionare questo status quo, dovrebbe essere la nuova priorità del governo Renzi. Per farlo non deve procedere a spizzichi e bocconi: richiederebbe troppo tempo e verrebbe logorato in battaglie con ogni singola lobby. Dovrebbe fare come fece Obama all'inizio della sua amministrazione: nominare un esperto di regolamentazione (come Cass Sunstein) e con un unico atto eliminare tutte le regole inutili e tutte quelle il cui unico scopo è proteggere una piccola casta. Visto che al nostro premier piacciono nomi immaginifici, gliene suggeriamo uno: Uber Act. Sicuramente piacerà anche alla cancelliera Merkel.

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