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Corruzione, le armi spuntate delle indagini

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Corruzione, le armi spuntate delle indagini

La corruzione è una delle stigmate più dolorose dell’Italia, una piaga aperta come lo furono il terrorismo politico o la stagione dei sequestri di persona negli anni Settanta-Ottanta e come lo sono ancora oggi le mafie.

A parole, tutti se ne dicono indignati, in primo luogo i milioni di tifosi dell’”onestà!”, tifosi accesi, ma così confusi da non cogliere il nesso tra i loro piccoli abusi, le loro piccole evasioni fiscali, le raccomandazioni mendicate e le grandi vicende giudiziarie che ci vengono servite nella loro fase acuta e mediaticamente più succulenta. Per estirpare la corruzione dalla (sub)cultura degli italiani, l’azione repressiva è quanto mai necessaria, ma anche del tutto insufficiente. Come già sperimentato con Mani pulite, se non accompagnata da riforme politiche che si fanno spazio dopo gli shock da manette, l’indignazione gridata e cavalcata dai furbetti della politica si affievolisce, resta appesa per un po’, poi termina e tutto torna come prima.

In più, in Italia la prevenzione è appena agli albori (l’Anac opera dal 2014, la legge 190 è di fine 2012), proprio come la massiccia formazione rivolta ai giovani cittadini, eppure al versante repressivo vengono negati gli strumenti adeguati, tanto da far dire a Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Associazione magistrati, che fin qui «non si è lavorato per contrastare la corruzione, ma per disarmare chi sulla corruzione deve indagare». Esagerazione togata? Pare di no.

Difficile non notare come la reattività dimostrata verso fenomeni quali il cosiddetto “femminicidio”, l’autodifesa rafforzata o l’omicidio stradale diventi somma esitazione, se non resistenza, quando si tratta di rafforzare l’anticorruzione, pur sollecitata da una montante richiesta di pulizia.

Intere legislature e disparati governi hanno invece ignorato ciò che i processi venivano dimostrando, mentre i partiti, quanto meno distratti e tolleranti, hanno cooptato i colpevoli, fino a rendere il Paese assuefatto all’ordinario degrado della vita pubblica. Un degrado oggi reputato “normale”, ineliminabile, radicato nell’equivoco che la corruzione sia olio negli ingranaggi dell’amministrazione e dell’economia anziché sassi che le inceppano a suon di condoni piccoli e grandi, scudi fiscali a costi di saldo, sforbiciate alla prescrizione, giochini sul falso in bilancio.

Ma c’è anche dell’altro. Nel tempo, le istituzioni hanno saputo “vedere” il reato di associazione mafiosa, hanno congelato i beni delle famiglie dei sequestrati, istituito il carcere duro, sequestrato patrimoni mafiosi, votato leggi premiali per i collaboratori di giustizia, infiltrato bande armate di diversa origine. Mettendo così chi indaga in grado di essere efficace. In alcuni passaggi critici della Repubblica, il legislatore è stato capace di trasferire con intelligenza da un fronte a un altro armi già messe a punto.

È accaduto, per esempio, con la normativa sui “pentiti” terroristi, adattata con ottimi risultati all’antimafia e alla riscoperta del lavoro in pool contro il terrorismo internazionale. Ma sulla corruzione, sull’evasione fiscale, sulla criminalità economica, questo non si fa. Anzi, desta scandalo l’idea di usare agenti sotto copertura o di applicare ai corrotti le misure di confisca. Questa severità resta confinata al crimine organizzato, come se la corruzione non fosse un fenomeno ben più esteso e in grado di desertificare pezzi di Paese un tempo in sicurezza, ben governati e prosperi.

Ribadito che solo la combinazione tra educazione civica, prevenzione e sanzione penale può produrre – nel tempo – qualche risultato, quando uno dei tre componenti manca o è scarso, debole, il mix degli altri due non basta. Dunque repressione necessaria, invocata dalla bouvette fino all’osteria delle valli più sperdute, ma intanto – e non da ieri – oggetto di diffidenze speciose e imbrigliata da maliziose tagliole disseminate nei labirinti del processo.

Ecco perché nel 2016, a più di vent’anni da Tangentopoli, è inutile cercare il corruttore o il corrotto in una cella o quanto meno in un istituto a imboccare anziani.

ext.lmancini@ilsole24ore.com

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