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Il veicolo finanziario che serve all’Europa

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investimenti globali

Il veicolo finanziario che serve all’Europa

La Ue e la Uem continuano a sperare che una ripresa vera arrivi dalle riforme strutturali e dal Piano Juncker “potenziati” dall’iper-rigore fiscale e dalla politica monetaria ultra-espansiva.“Iper” e “ultra” sono due interventi estremizzanti che probabilmente si elidono piuttosto che sommarsi, con la conseguenza che la politica di sviluppo europea non passa per queste scelte. Rimangono le riforme strutturali e il Piano Juncker. Il rischio è che dopo 7 anni di crescita annua zero e con una previsione di crescita, dal 2015 al 2023, di poco superiore all’1% annuo, l’Eurozona si avvii a diventare davvero un “vecchio continente” in stagnazione. Sarebbe paradossale perché la struttura economica europea è tuttora forte e con molte potenzialità.

Euro e geo-economia. Bisogna però capire, con realismo, che ciò che ora tiene unita l’Europa, e soprattutto l’Eurozona, sono l’economia e la moneta ma non l’identità culturale e l’unità politica. Il rischio è perciò grande e per contrastarlo bisogna cercare azioni economiche comuni per far riprendere con vigore gli investimenti e l’occupazione. Cioè quella economia reale con la quale l’Europa può anche fare politica estera, visto che non è in grado di farla né con la diplomazia né con la difesa. Detto in termini più crudi: cosa sarebbe oggi l’Europa in generale e l’Eurozona in particolare senza l’euro e senza la forza di un saldo merci ampiamente positivo nella bilancia dei pagamenti che tra i grandi Paesi è il secondo (sul Pil) dopo quello della Cina (mentre per gli Usa è pesantemente negativo)? Con la geo-economia si può anche fare geo-politica ed è quanto l’Europa potrebbe tentare pur non potendo aspirare a quel ruolo di terzo polo politico mondiale. Spieghiamolo con riferimento alle banche di sviluppo e di investimento multilaterali (Mdb).

Più euro-economia. La Bei è la più grande Mdb al mondo ma della stessa si parla poco in Europa (specie a confronto della Bce).

Eppure la Bei è molto importante con un capitale sottoscritto dagli Stati della Ue per circa 250 miliardi di euro, per un totale di crediti erogati per 450 miliardi di euro e un attivo totale di circa 550 miliardi. Il suo varo nel 1958 mostra la lungimiranza dei fondatori della Comunità economica europea che subito vollero una banca pubblica di investimento per finanziare progetti comuni ed evitare che il mercato unico concorrenziale accentuasse gli squilibri regionali e il crollo di alcune industrie. Oggi la Bei eroga il 90% dei sui crediti dentro l’Europa e il 10% fuori dall’Europa. I crediti in Europa vanno, grossomodo, per un terzo alle Pmi, un quarto alle infrastrutture (strade, ferrovie, aeroporti e infrastrutture telematiche ed energetiche), un altro quarto alla difesa eco-climatica e poco meno di un quinto all’innovazione. Dal 2014 sulla Bei è stato anche incardinato il Piano Juncker in una curiosa forma di semi-autonomia. Ma allo stato attuale nel Piano Juncker sono stati approvati progetti per solo 7,8 miliardi di euro per finanziare infrastrutture e 3,4 per le Pmi. Troppo poco dopo quasi due anni dal suo annuncio per giustificare un apparato organizzativo così macchinos o. Quindi efficienza ed efficacia richiedevano o di usare un nuovo veicolo finanziario(magari con azioniste le National Promotional Banks) con emissioni obbligazionarie sottoscrivibili anche dalla Bce o di potenziare la Bei senza costruire un piano molto complesso com’è quello Juncker.

Più Euro-Africa. Con la vicenda dei movimenti migratori si è aperto un altro problema che andrebbe affrontato anche creando, come già detto in passato una Banca europea per l’Africa (e più in generale per i Paesi in via di sviluppo) scorporando dalla Bei e dalla Bers i loro impegni extra europei nei Paesi del Mediterraneo meridionale e orientale e dell’Africa sub-sahariana. Ma anche gli impegni nei Caraibi e Pacifico, nell’America latina e nell’Asia centrale. Al proposito varrebbe la pena di esaminare a fondo la strategia della Cina che, diversamente dall’Europa, guarda lontano e innova molto. Pechino ha avviato la creazione nel 2013 di una nuova banca multilaterale la Aiib (Asian Infrastructure Investment Bank) con capitale sottoscritto di 100 miliardi di dollari e che sommato a quello della New Development Bank arriva ad un totale di capitale di 150 miliardi di dollari. Questo aggregato di due banche multilaterali di sviluppo a controllo cinese (ma a azionariato multistatuale) è il quarto al mondo per capitale sottoscritto dopo la Bei (330 miliardi di dollari), la Ibrd (Gruppo Banca Mondiale con 230 miliardi), Adb (Asian Development Bank con 160 miliardi) ma prima della Bers (40 miliardi). Lo scopo dell’Aiib è quello di potenziare l’intervento infrastrutturale in Asia mentre Pechino per i suoi investimenti interni utilizza altre sue banche di sviluppo esistenti che possono a loro volta contare su un capitale sottoscritto di 100 miliardi di dollari e con un attivo di 1.800 miliardi di dollari. La strategia cinese, che può servirsi anche dei fondi sovrani tra cui la China Investment Corporation, ha perciò un sistema di banche di sviluppo e di investimento interne ed esterne tra cui anche la China Development Bank che ha lanciato il China Africa Development Fund per l’Africa nonché la partecipazione a molte altre Mdb.

Europa frammentata. Romano Prodi ieri in una conferenza ai Lincei (si veda l’articolo a fianco) ha ricordato che la Ue e i suoi Paesi sono il primo erogatore di contributi all’Africa ma che l’assenza di una politica unitaria rende l’intervento assai meno incisivo di quello cinese che, pur essendo quantitativamente minore, è organico e di lungo periodo. La mancanza di strategia dell’Europa raggiunge il paradosso nel caso dell’investimento nella cinese Aiib. Infatti, invece di aggregare in un euroveicolo finanziario ad hoc, la sua partecipazione ha «lasciato» che 14 paesi sottoscrivessero per una partecipazione totale di circa il 20% del capitale (a fronte del 30% della Cina, che è di controllo!) che frazionata non conta molto. Questa è la logica di isolamento (come per Schengen). Per superarla bisogna tentare di usare l’europeismo delle convenienze per evitare che svanisca del tutto quello delle convinzioni che 70 anni di pace e progresso ci hanno consegnato.

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