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I segnali positivi e l’ombra deflazione

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lavoro e crescita Ue

I segnali positivi e l’ombra deflazione

La volatilità propria dei mercati finanziari sembra aver contagiato gli indicatori dell’economia reale, ormai preda di una erraticità inusuale e legata all’incertezza di questi tempi di post-recessione e di grandi sbandamenti di un’Europa annebbiata ed egoista. Tuttavia la divaricazione evidente tra la curva dell’occupazione (che sale) e quella della disoccupazione (che scende) fa ben sperare finalmente in una indicazione di più lunga gittata per il quadro italiano che appare confortante. Così come, naturalmente, fa ben sperare proprio il dato della crescita europea superiore alle attese e del tutto inaspettato, tale da compensare la delusione del dato - anch’esso inatteso e inaspettato - del rallentamento della crescita del Pil americano nel primo trimestre di quest’anno.

Dopo i brutti dati di febbraio, la tendenza della disoccupazione appare più netta con un calo dello 0,3% a marzo sul mese precedente e con 63mila disoccupati e 36mila inattivi in meno; anche il numero di quanti hanno acquisito un lavoro torna positivo per 90mila unità mentre era calato di 87mila a febbraio. Si trattava, probabilmente, dell’effetto rimbalzo dovuto all’overbooking fatto dalle imprese a fine dicembre nel tentativo di massimizzare il numero di nuovi ingressi legato alla decontribuzione totale (e non ridotta come previsto dalla legge di stabilità dal primo gennaio di quest’anno), con una parte dei nuovi assunti “segnalata” dalle statistiche con ritardo proprio a gennaio.

La stasi sembra ora superata e il mese di marzo, probabilmente, sta tornando a una nuova “normalità” nel flusso di assunzioni. Tendenza confermata anche dal forte miglioramento delle aspettative di assunzione da parte delle imprese registrato nell’ultima indagine Banca d’Italia Sole 24 Ore (si veda Il Sole 24 Ore del 10 aprile).

Ciò che più conta però è il calo progressivo della disoccupazione e della fascia degli inattivi (coloro che non cercano lavoro perché sfiduciati): anche il dato trimestrale segnala un calo dei senza lavoro dello 0,5%, pari a 15mila unità e una flessione tra gli sfiduciati
di 43mila unità.

È importante che i nuovi assunti siano in maggior numero donne e che la quota di sfiduciati in fase di assottigliamento sia proprio quella femminile. Ed è altrettanto importante che sia la componente del lavoro dipendente a registrare la performance migliore in ragione d’anno, con un aumento dell’1,8% pari a 295mila addetti. All’interno di questa fascia il dato migliore è quello del lavoro a tempo indeterminato che sale dell’1,9% con 280mila addetti in più.

La cura del jobs act sta funzionando e dispiega, lentamente, i suoi effetti con le imprese che stanno “prendendo le misure” delle nuove regole sul contratto a tutele crescenti e con la nuova flessibilità in uscita.

Sono in calo i lavoro “autonomi”, fatto che sconta una fase di disboscamento delle ambiguità del cosiddetto popolo delle partite Iva al cui interno si annidavano anche molti impieghi “grigi” di altra natura ora riassorbiti nell’alveo dei rapporti di lavoro improntati alle nuove regole. E il fatto che siano in crescita anche i lavori a termine dimostra come stia funzionando la riforma di quel rapporto di lavoro che ha aumentato la durata degli “ingaggi” e ne ha semplificato le causali.

In definitiva il mercato del lavoro sta trovando un nuovo equilibrio pur in presenza di una crescita debole per la quale serve, comunque, una nuova, massiccia cura di investimenti sia italiani, sia europei. Tuttavia il buon dato europeo, se collegato alla ripresa della domanda interna, segnalata dai dati di febbraio sugli ordinativi e sui consumi, può far ben sperare nell’immediato futuro anche per la dinamica dell’occupazione. Soprattutto se gli effetti di trasferimento di liquidità all’economia reale legati ai piani della Bce (Teltro), non ancora di fatto partiti, andrà finalmente a buon fine.

L’ultimo tassello che manca per dare ulteriore stabilità e nuove certezze al sistema di regole è il completamento della nuova struttura contrattuale in grado di valorizzare la componente salariale legata alla produttività e in grado di rendere gestibili, in modo economicamente razionale, le dinamiche salariali anche in tempi di deflazione, che non accenna a diminuire, e di tassi negativi. Sarebbe un modo per contribuire ad allargare la torta stessa della produttività: è la nuova frontiera per le parti sociali che su questo, tra l’altro, si giocano il futuro e la modernizzazione del loro stesso ruolo.

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