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Le tasse progressive e l’«austerità espansiva»

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krugman & co

Le tasse progressive e l’«austerità espansiva»

I candidati alla nomination democratica, Bernie Sanders e Hillary Clinton, stanno discutendo delle tasse sulle bibite gassate. La Clinton è favorevole, perché lo vede come un modo per raccogliere fondi da destinare a programmi importanti come l’estensione universale degli asili nido, e al tempo stesso come un disincentivo ad adottare comportamenti autodistruttivi. Sanders è contrario perché sono tasse regressive, che ricadono sulle fasce più povere.

Non mi illudo che le argomentazioni razionali possano fare qualche differenza nell’immediato. Siamo in quella fase della battaglia elettorale in cui qualsiasi cosa dica la Clinton è di per se stesso un male. È come quando nel 2008 i sostenitori di Barack Obama si scagliavano contro l’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione sanitaria, che alla fine è diventato (com’era giusto che fosse) un caposaldo della riforma sanitaria.

Cionondimeno, mi sembra che valga la pena sottolineare che la progressività non è l’aspetto più importante della tassazione, anche quando l’obbiettivo è combattere la disuguaglianza. I Paesi nordici – inclusa la Danimarca, che Sanders ha elogiato come un modello da imitare – fanno forte affidamento sulle imposte sul valore aggiunto, che sono tasse regressive: ma queste nazioni usano gli introiti della tassazione per finanziare una forte rete di sicurezza sociale; ed è questa, in fin dei conti, la cosa veramente importante.

Se aggiungiamo che un forte consumo di bibite gassate è effettivamente distruttivo, e le conseguenze ricadono soprattutto sui bambini delle famiglie a basso reddito, direi che Sanders in questo caso ha torto su tutta la linea. Ma dubito che solleverebbe la questione se non fosse ridotto a giocarsi le sue chances alla spera-in-dio. le primarie democratiche sostanzialmente sono finite, anche se Sanders continua a raccogliere finanziamenti da sostenitori ingenui proclamando di avere reali possibilità di vincere. Le polemiche, tuttavia, andranno avanti ancora, almeno per un po’ di tempo.

Fra queste polemiche, il dibattito sull’analisi economica probabilmente non è in cima alla lista, ma per ovvie ragioni è un tema che suscita il mio interesse. E recentemente ho visto che il blogger ProGrowthLiberal si è lamentato dell’ultimo tentativo dell’economista Gerald Friedman di difendere le sue stime di crescita con il programma economico di Sanders. La storia, per chi non avesse seguito le puntate precedenti, è che Friedman ha fornito cifre sproporzionate e difficili da comprendere, sia sul versante della domanda che su quello dell’offerta. All’inizio, diceva che non era nulla di particolarmente nuovo, e che anzi lui e i suoi sostenitori applicavano le normali teorie economiche keynesiane, senza rendersi conto, apparentemente, che non era affatto così: solo quando qualcuno ha fatto notare la cosa sono passati a dichiarare che l’analisi standard era completamente sbagliata.

Per quelli fra noi che hanno partecipato ai recenti dibattiti sull’austerity, questa polemica risulta sorprendente e scoraggiante. Vi ricordate, nel 2009, la lunga battaglia contro la dottrina dell’austerità espansiva? C’era una spaccatura fortissima fra keynesiani e antikeynesiani. E i fatti hanno dato ragione su tutta la linea ai keynesiani, quando i tassi di interesse, l’inflazione e il Pil hanno avuto un’evoluzione molto più simile a quella pronosticata da loro che a quella pronosticata dalla destra. Ma ora, se provi a manifestare scetticismo di fronte a chi sostiene che non esiste alcun vincolo sul versante dell’offerta che possa impedire all’economia statunitense di crescere a ritmi del 4,5% per il prossimo decennio, vieni equiparato agli economisti di destra che agitano lo spauracchio dell’inflazione e del debito. Possiamo vedere tutto questo come il corrispettivo, nel mondo degli economisti, di Susan Sarandon che liquida la Clinton definendola «la migliore repubblicana in circolazione»: per dirla altrimenti, chiunque venga a dirvi che non potete ottenere tutto quello che volete, in economia come in politica, è malvagio e insignificante.

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