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Politiche economiche zoppe

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Politiche economiche zoppe

Ce la mette tutta la Bce a riscaldare inflazione e crescita dell’eurozona con la sua politica monetaria sempre più espansiva. Ma da sola non può riuscire a rompere il brutto incantesimo, come si ostina a ripetere ad ogni occasione Mario Draghi. Continua pagina 24

A riprova sono arrivate ieri le previsioni di primavera di Bruxelles, che confermano sì la ripresa in atto, che però resta poco scintillante e comunque sta rallentando il passo, mentre in parallelo peggiora il dato sull’inflazione.

Come se non bastasse, su di essa planano vari rischi che potrebbero frenarla ulteriormente: dal rallentamento di Cina e economie emergenti, alle tensioni geopolitiche, ai rincari di petrolio e euro, alle incertezze finanziarie fino all'incognita Brexit.

Non solo. Se la ripresa, nonostante Qe e riforme strutturali fatte si fermerà quest’anno all’1,6% (contro l’1,7 previsto in autunno e messo a segno nel 2015) per salire all’1,8 l’anno prossimo (contro l’1,9 atteso in precedenza) e se l’inflazione non supererà lo 0,2% annuo (0,5) per aumentare nel 2017 all’1,4 (1,5), gli squilibri medi dei conti pubblici si ridurranno, con il calo del deficit dal 2,1% all’1,9 fino all’1,6 a fine triennio e il debito in discesa dal 92,9 al 92,2 , al 91,1%.

Come sempre però le medie non raccontano tutta la storia: con un + 1,1 e 1,3 tra quest’anno e il prossimo, l’Italia registrerà una ripresa inferiore di mezzo punto percentuale alla media euro, con deficit sotto controllo ma debito stabile (132,7%) nel 2016 leggermente in ribasso (131,8) solo nel 2017, diversamente dai calcoli del Governo.

Dunque, più il tempo passa e più appare evidente, come dicono le previsioni Ue di ieri che ricalcano le ultime di Fmi, Ocse e della stessa Bce, che la politica economica europea è clamorosamente zoppa, come del resto molte delle sue recenti conquiste, a partire dal pilastro e mezzo dell’unione bancaria sui tre che dovrebbero comporla.

Anche se sarebbe eccessivo e improprio al momento parlare di stagnazione secolare, il persistente calo della crescita nell’area euro è un fatto incontrovertibile, tanto più se si mettono a confronto i ritmi della ripresa Usa con quelli della ripresa europea, molto più lenta. La ragione?

Il declino della produttività era cominciato ben prima della grande crisi su entrambe le sponde dell’Atlantico però in Europa si è accentuato molto più che negli Stati Uniti, perché le è venuto meno il polmone finanziario: l’eurozona ha temporeggiato troppo prima di decidersi a salvare le banche rispetto alla tempestività dell’intervento della presidenza Obama già nel 2008.

L’altro ieri Draghi ha denunciato a chiare lettere l’eccesso di risparmio e la penuria di investimenti che oggi soffocano la ripresa europea (ma non solo). Niente di più vero quando si guardano le nuove cifre della Commissione Ue che quest’anno prevedono un surplus corrente tedesco addirittura all’8,8% del Pil che, bontà sua, scenderà nel 2017 all’8,5. Con il risultato che anche il surplus dell’area euro viaggia sopra il 3%. Come dire che entrambi sottraggono domanda all’Europa e al resto del mondo nel momento in cui la congiuntura globale appare fragile e incerta.

Anche se i saldi di bilancio della Germania, che tra l’anno scorso e quest’anno scenderanno dallo 0,7 allo 0,2% smentiscono la retorica ufficiale del rigorismo e della cautela sugli investimenti, resta che l’egoismo nazionale sui surplus e l’abnorme accumulo di risparmio soffocano i possibili stimoli costruttivi alla ripresa, che non siano quelli derivanti negli anni dalle riforme strutturali.

C’è una triangolo virtuoso nella strategia di politica economica indicata dal G-20: politica monetaria espansiva, politica fiscale a sostegno della domanda e forti politiche di riforme strutturali. Nell’eurozona oggi si vede solo la prima, condotta con convinzione. La seconda manca, la terza c’è ma è troppo discontinua e incompleta. Non senza pesanti contraccolpi.

Gli errori nel policy mix stanno allevando in seno all’euro crescenti e preoccupanti diseguaglianze economico-sociali: a soffrirne di più, dal 2008 a oggi, sono state le famiglie con un reddito del 40% sotto la mediana, che se lo sono visto falcidiato di ben 15 punti, secondo le stime Ue. Tra l’altro con ovvi e ulteriori disincentivi alla domanda e alla crescita. Se si aggiungono i rischi potenzialmente devastanti di una crisi migratoria incontrollata, della fine di Schengen e di Brexit, l’euro appare avanzare a tentoni sul filo del rasoio.

A.A.A leadership politica cercasi urgentemente insieme al coraggio collettivo di rompere con nazionalismi e sfiducia reciproca per ritrovare la voglia e le politiche indispensabili a tornare a distribuire sviluppo, investimenti e posti di lavoro. E a fermare l’emorragia di consenso popolare, che è indispensabile alla democrazia europea.

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