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Donald e il rischio protezionismo

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Scenari

Donald e il rischio protezionismo

  • –di Mario Platero

Dopo Ted Cruz, anche John Kasich e l'estabishment hanno gettato la spugna contro Donald Trump. La svolta di ieri è epocale sul piano politico e su quello economico. Con preoccupanti ramificazioni protezionistiche. Sono stati i repubblicani dell'Indiana e la Carrier, una fabbrica di condizionatori d'aria che trasferirà la sua produzione in Messico, a scrivere questa pagina di storia americana. Che Trump potesse avere la certezza assoluta della vittoria per la nomination alla Convention di Cleveland sembrava impossibile, come tutto è sembrato impossibile in questa corsa elettorale del 2016.

Ma dopo la schiacciante vittoria in Indiana si è capito che la forza d'urto dell'immobiliarista miliardario che corre con i suoi soldi sarebbe stata incontenibile. Per questo Cruz e Kasich sono caduti come birilli prima del tempo. Per questo Trump ha già la strada spianata per la nomination.

Detto questo, è la notizia che i repubblicani hanno votato in Indiana e in altri stati contro il libero commercio e in sintonia con i sindacati, a darci la misura della scossa sismica con cui si confronta la politica americana. Sappiamo da sempre quanto l'economia sia importante in politica. E sapevamo da queste elezioni che, dall'Europa, l'era degli outsider della politica, del malcontento e della protesta si era trasferita anche in America. Da conversazioni avute con autorevoli esperti sia democratici e repubblicani, nessuno crede ancora oggi che Trump possa farcela contro Hillary Clinton a novembre. Davvero? Si, hanno risposto gli esperti, il pallino è come sempre in mano agli indipendenti che non potranno mai votare un personaggio populista e incompetente come Trump. Possibile.

Sempre che l'Indiana non diventi un emblema nazionale consentendo a Trump di trasferire la presa della sua retorica protezionista anche sugli indipendenti su scala nazionale. In quel caso la possibilità che arrivi davvero alla Casa Bianca non sarà più remota come sembra oggi e come molto altro è sembrato in queste incredibili primarie 2016.

Cominciamo dal voto dell'Indiana. Trump ha da sempre promesso ritorsioni contro partner commerciali che approfittano degli Stati Uniti, Cina e Messico in testa. Il suo slogan? «Ci rubano i posti di lavoro sotto il naso senza che si riesca a rimpiazzarli». Uno slogan che ha toccato un nervo scoperto in questo tranquillo stato del Midwest, 6 milioni di abitanti, celebre soprattutto per la grande corsa di Indianapolis. L'economia dell'Indiana infatti poggia sul settore manifatturiero, dalla siderurgia a strumenti medicali a componenti per l'auto, alla chimica e a molto altro, condizionatori d'aria inclusi. Lo scorso febbraio la Carrier ha annunciato che avrebbe licenziato 1.400 dipendenti e chiuso alcune attività per trasferirle in Messico dove il lavoro costa 3 dollari all'ora contro i 20 dollari in Indiana. Ci fu una piccola rivoluzione. Durante l'annuncio ci sono state fortissime proteste dei dipendenti. Un video di quell'episodio è diventato virale su Internet. Donald Trump ha subito usato la notizia per confermare che la sua proposta di imporre tariffe del 45% contro le importazioni cinesi e di fare altrettanto con il Messico diventava urgentissima se «davvero vogliamo recuperare la grandezza dell'America».

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