Squilibrata, intempestiva, pasticciata. Probabilmente destinata a non fare molta strada nella versione attuale. Che è un regalo apparente ma di sicuro avvelenato per l’Italia.
La grande svolta nella politica di asilo europea, che la Commissione Ue ha proposto l’altro ieri a Bruxelles con la grancassa, appare il solito gioco di contorsionismi politici, decisamente sbilanciati a tutela degli interessi nordeuropei e temperati da falsi contentini per il Sudeuropa. I fatti. Da oltre un anno l’Italia invoca una riforma della convenzione di Dublino per europeizzare davvero la politica di asilo abbandonando l’attuale assurda sommatoria di 28 politiche nazionali diverse. Chiede quindi di uscire dall’attuale normativa che vuole che sia il paese di primo sbarco del rifugiato a doversene assumere tutti gli oneri: di identificazione, registrazione, accoglienza o rimpatrio. Di fronte alle recenti ondate di profughi e migranti economici, che non promettono di arrestarsi, il sistema non solo ha dimostrato di non tenere ma di spaccare l’Europa. Quasi nessun paese membro, però, vuole modificarlo. E così ora Bruxelles propone di mantenere il principio del paese di primo sbarco temperandolo però con un meccanismo di ripartizione automatica che scatterà quando la sua quota di riferimento (basata su Pil e popolazione), sarà stata superata del 150%. I paesi che rifiutassero di partecipare alla spartizione dovranno versare 250.000 euro per ogni rifugiato respinto.
Dunque finalmente in Europa chi non accoglie paga e la solidarietà si impone facendosi addirittura forzosa? Sbagliato. Un abile gioco di specchi. Nel settembre scorso, a colpi di maggioranza, i ministri Ue decisero il ricollocamento in due anni per quote obbligatorie di 160.000 rifugiati da Grecia e Italia: oggi, 8 mesi dopo, ne sono stati redistribuiti 1.441. Errare humanum, perseverare diabolicum. Invece no, si insiste con la stessa proposta. Dalla credibilità nulla. Dimenticando tra l’altro che già sulla prima pendono due ricorsi per illegittimità, di Ungheria e Slovacchia, alla Corte di Giustizia europea. Non contenti, si inventano sanzioni irrealistiche e spropositate per i renitenti: se mai fossero accolte dai ministri, cosa improbabile, sarebbero oggetto di nuove denunce a Lussemburgo. Come annunciato già da quattro paesi dell’Est. Dunque, altra polvere negli occhi per provare a tranquillizzare l’Italia: la pressione sulla Grecia è crollata dopo l’accordo Ue-Turchia e i nuovi flussi, essenzialmente di migranti economici, promettono di arrivare dall’Africa passando dall’Egitto ma soprattutto dalla Libia nel caos. Se per ora la solidarietà all’Italia è un artificio propositivo, tutto da verificare sul terreno negoziale a 28, non sono invece per niente fittizie ma molto concrete le proposte della Commissione Ue per la proroga di sei mesi dei controlli alle frontiere Schengen concessa a Germania (sul lato con l'Austria), Austria (verso Slovenia e Ungheria ), Svezia, Danimarca e Norvegia. E questo nonostante la perdurante chiusura della rotta balcanica e il crollo verticale degli arrivi di profughi dalla Grecia, cioè la fine dei flussi emergenziali che li legittimerebbero. Ma la giustificazione ufficiale è che i controlli in Grecia non sarebbero ancora sufficienti e che quindi il paese vada escluso per altri sei mesi da Schengen.
Che le inclinazioni della Commissione Ue, il teorico honest broker di qualsiasi partita europea, siano un po’ troppo “nordiste” lo dice anche la sua severità verso Atene che si contrappone all’indulgenza verso Ankara. Certo, la Germania di Angela Merkel ha un bisogno vitale della Turchia di Erdogan per fermare la marea dei rifugiati, tanto da chiudere entrambi gli occhi (e farli chiudere anche all’Unione) sul suo crescente autoritarismo intollerante verso qualsiasi critica e opposizione, in netto contrasto con i valori europei. Però l’apertura di Bruxelles sulla liberalizzazione dei visti per 80 milioni di turchi entro fine giugno, nonostante il mancato rispetto di tutte le condizioni previste, è stata tanto affrettata da suscitare l’immediato l’altolà del parlamento europeo.
Tutto si può capire: le ragioni della Realpolitik europea e anche il mantra imperante della solidarietà solo in cambio della responsabilità. Purchè non si snaturi il binomio: la responsabilità vera non può essere premiata con falsa solidarietà. Questione di sfiducia reciproca, naturalmente.
Però quando l’Europa si mostra solidale con la Germania al punto di accettare il patto leonino con il Sultano, poi non può far finta di non vedere che la stessa emergenza potrebbe presto scaricarsi sull’Italia. Chiudere il Brennero non sarebbe la soluzione. Per non far saltare Schengen e l’Unione, ci vuole un patto “turco” anche con l’Africa insieme a una politica dell’asilo e dell’immigrazione davvero integrata a tutti i livelli. In breve un “migration compact “ da varare al più presto per scoraggiare subito i flussi, non per reprimerli male e confusamente quando è troppo tardi. Purtroppo per ora questa lungimiranza non si vede.
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