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L’interesse della Germania e quello dell’Europa

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oltre i populismi

L’interesse della Germania e quello dell’Europa

Impegnarsi insieme per difendere Schengen va molto bene, ma per usare una metafora tedesca, Angela Merkel e Matteo Renzi devono ancora fare un ultimo salto e staccarsi dalla loro stessa ombra.

L’incontro bilaterale di ieri ha visto avvicinarsi i toni e allinearsi le priorità di Italia e Germania sul tema dell’immigrazione. È rincuorante che Merkel definisca sleale la chiusura dei confini e che si stiano preparando grandi progetti di investimento nel Nord Africa. Ma il contesto resta grave, Schengen è sospeso e la barriera austriaca al Brennero è più di una provocazione, è la dimostrazione che è necessario un salto più energico dalle politiche elettoralistiche nazionali – appunto, l'ombra che insegue ogni capo di governo – verso la condivisione delle scelte.

Italia e Germania hanno una speciale responsabilità nel “guardare lungo” oltre i sondaggi e contrastare i nazionalismi prima che per l’Europa sia troppo tardi. Lo si capisce dalla loro storia recente. Fino alla riunificazione, la Germania era una nazione la cui sovranità era limitata. La responsabilità per gli eventi della prima metà del secolo impediva alla politica di Bonn di perseguire il proprio interesse nazionale e perfino di definirlo, oltre quelli che erano gli obiettivi della propria riabilitazione morale e della sicurezza internazionale. La strada intrapresa da Bonn fu quella di riconoscersi come “potenza civile”, interessata a dare priorità alle regole internazionali, con le logiche e gli strumenti dell’economia. Si è trattato di una strategia delle relazioni internazionali che si è sovrapposta quasi perfettamente alla concezione della Comunità europea: un progetto pacifico, che con gli strumenti dell’integrazione economica ha posto impegni normativi a salvaguardia dei valori di convivenza.

La coincidenza tra la vicenda tedesca e il progetto europeo è ciò che spinge tuttora molti di noi a guardare alla Germania come a un Paese che ha l’obbligo morale di servire da cardine dell’integrazione europea.

L’Italia ha sempre incoraggiato la Germania su questa strada. Ma non è una convivenza politica priva di intoppi. Proprio perché i tedeschi hanno costruito il proprio ruolo europeo attorno alla sicurezza e alla stabilità economiche, la fragilità finanziaria italiana ha finito per giocare un ruolo esorbitante, forse esagerato, nel frenare l’integrazione.

Come ha osservato il sociologo Wolfgang Streek, non potendo affermare pubblicamente la propria identità e il proprio interesse, la Germania ha finito per definire se stessa solo come europea. Questo ha creato uno stato mentale che fa pensare ai tedeschi che Germania ed Europa siano realtà coincidenti. Secondo i più critici, la confusione delle identità è arrivata a una forma di dissociazione che rende incapaci di riconoscere o di elaborare ragioni e identità altrui, fino ad affermare che ciò che fa bene alla Germania, fa bene all’Europa. Alla fine, in un’Europa in cui le decisioni non sono più prese a Bruxelles ma nelle sedi dei governi, ciò che fa bene all’Europa si riduce a ciò che fa bene al governo tedesco.

Fa parte del ruolo italiano assicurare che Angela Merkel, carica di responsabilità e leadership, sappia invece distinguere ciò che è interesse tedesco da ciò che è interesse europeo. In molti casi non è più così. Nella vicenda dei rifugiati le decisioni della cancelliera di aprire i confini e poi di chiuderli lungo la rotta balcanica non sono state condivise e hanno risposto a obiettivi politici interni. I rapporti europei con la Turchia sono cambiati in ragione di un negoziato personale con conseguenze che ribaltano l’idea di Europa “potere trasformativo” in grado con il proprio senso del diritto di avvicinare alla democrazia i Paesi confinanti. È importante che l’Italia e altre voci europee portino con vigore nella trattativa interessi propri, ma è ancora più importante pretendere che le procedure di decisione europea tornino a riflettere gli interessi comuni e che si eviti in futuro il prevalere di un governo o di un altro.

A suonare l’allarme sono proprio le condizioni politiche interne tedesche. Il partito xenofobo “Alternativa per la Germania” è a un passo dall’affiancare i socialdemocratici come secondo partito del Paese. I due partiti popolari Cdu e Spd che compongono la grande coalizione al governo insieme hanno oggi solo il 53% dei consensi. Se la tendenza continuasse, nemmeno una “grande” coalizione potrebbe garantire governabilità e centralità politica europea alla Germania. La cancelliera sembrava tentata di avvicinare la Cdu al partito dei Verdi, che compenserebbe l’invecchiamento del suo partito (un milione di voti in meno ogni legislatura solo per ragioni demografiche), ma la crescente minaccia di “Alternativa”, le cui parole d’ordine sono attraenti per oltre metà degli elettori della Cdu, sconsiglia di lasciare scoperto il fianco destro della politica tedesca. Le conseguenze per la politica europea della cancelliera sono molto incerte.

Se Angela Merkel tiene davvero al progetto europeo – e al senso del percorso tedesco del dopoguerra – deve avanzare sull’integrazione istituzionale europea e l’Italia deve sostenerla in quella direzione, anche evitando di essere alibi o ragione delle paure tedesche.

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