Commenti

Cameron non stravince e il no a Brexit è più forte

  • Abbonati
  • Accedi
i due volti del voto britannico

Cameron non stravince e il no a Brexit è più forte

La sconfitta del candidato sindaco conservatore, l’euroscettico Zac Goldsmith, conferma che Brexit non abita a Londra. L’analisi del voto ci dirà che la tendenza isolazionista s’insinua, qua e là, nel Paese, ma la metropoli ha scelto Sadiq Khan – o quantomeno ha rigettato il candidato Tory – anche, certamente non solo, per l’ostentata opposizione all’Ue che Zac ha ereditato dal padre James “Jimmy” Goldsmith. La tentazione “separatista” britannica non è stata affatto un elemento centrale della campagna elettorale, ma il disagio per le dichiarazioni del candidato conservatore si è piantato nella testa di tanti residenti – soprattutto i non britannici – in una metropoli che parla, letteralmente, centinaia di lingue.

L’esponente Tory, un dissidente rispetto alla linea “europeista” del premier David Cameron, è stato abbandonato dai naturali elettori che hanno preferito disertare le urne, o scegliere l’oppositore, per ragioni molto diverse fra loro, ma certamente anche per non dare ossigeno alla campagna Brexit. In questo senso la sconfitta del rappresentante conservatore è, paradossalmente, una vittoria per il leader del suo partito, un premier che sull’Europa si gioca futuro, passato e una citazione nei libri di storia. Un rischio, non ci stanchiamo di ripeterlo, che David Cameron ha deciso di correre anche se non era né necessario, né richiesto, consumando quello che rimane un grave e pericoloso errore politico.

Lette in chiave Brexit, le votazioni di ieri danno altre due indicazioni: una positiva per gli eurofili e una positiva per gli eurofobi. La prima giunge dalla Scozia dove i nazionalisti di Nicola Sturgeon, storicamente favorevoli alla membership europea anche al prezzo del distacco dal Regno Unito, hanno conquistato per la terza volta di fila il parlamento locale, mancando per poco la maggioranza assoluta. Sono tutti voti che al referendum del 23 giugno prenderanno la via del “si” all’Unione. La seconda arriva in ordine sparso dal territorio del Regno dove l’Ukip di Nigel Farage, gran detrattore dell’Ue, ha mostrato di essere quanto mai resistente, soprattutto quando ci sono sistemi elettorali diversi dal maggioritario first past the post che regola Westminster. Così lo United Kingdom independence party fa il suo ingresso nell’assemblea del Galles e moltiplica i consiglieri comunali diffusi sul territorio. Alle europee l’Ukip trionfò sull’onda del proporzionale e un istituto come il referendum può dare grandi soddisfazioni ai seguaci di Nigel Farage.

Il voto britannico di ieri se declinato con il rischio Brexit, costringe, quindi, David Cameron a tirare un sospiro di sollievo per non aver stravinto, anche fuori dai confini di Londra. Il Labour è caduto pesantemente in Scozia, ma nel resto del Paese ha perso terreno senza crollare. Era essenziale che dimostrasse di tenere perché solo con un piccolo aiuto dal grande nemico e guida laburista, Jeremy Corbyn, il leader Tory può sperare di scampare l’imboscata che ha architettato per se stesso. Senza i voti laburisti e quelli dei nazionalisti scozzesi Brexit sarebbe una certezza. Resta da vedere – e lo si saprà nei prossimi giorni – se il consenso raccolto basterà al numero uno del Labour per restare alla testa del partito. Le urne si sono rivelate in toni chiaroscuri per Jeremy Corbyn e chi vorrebbe affossare il leader radicale per rilanciare il new Labour di Tony Blair, potrà trovare nuovi spazi.

Sorride, invece, il premier britannico per le sue sconfitte. E su tutte per quella di Londra che gli porge la testa di un euroscettico d’antan, un ex amico che come lui ha battuto i lucidi corridoi di Eton. Se anche la capitale avesse ceduto alla tentazione del divorzio da Bruxelles, votando per chi contesta la costruzione comune, David Cameron avrebbe sentito lo squillo di una sveglia tanto simile a quella dell’ultimo giro.

© Riproduzione riservata