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Se la pigrizia frena la nostra misericordia

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testimonianze dai confini

Se la pigrizia frena la nostra misericordia

Non ci avevo pensato abbastanza: la pigrizia mal si concilia con la misericordia e provoca gli stessi danni provocati dall’indifferenza. Ci ho pensato però in questi giorni, stimolato da qualche lettura e da alcune esperienze fatte.

Commentando un’affermazione di San Paolo [«La misericordia di Dio invita a penitenza» (Rm 2,4)], Pascal ricorda che la misericordia non ammette pigrizia. E la pigrizia che ritarda la realizzazione di un mondo attraversato dalla misericordia è anche quella che si consuma girandoci dall’altra parte e ignorando il tanto sangue che si continua a versare nei vari teatri di guerra e in quelli non meno ripugnanti nei quali si pratica la sistematica persecuzione di cristiani e di altre minoranze etnico-religiose.

Le drammatiche immagini della distruzione di Aleppo, la distesa di cadaveri dei giovani prelevati nell’Università di Garissa e uccisi, le migliaia di corpi sepolti in mare invocano pietà ma condannano senza sconti la pigrizia e l’indifferenza. Un colpo a tutto questo lo si è voluto dare qualche giorno fa presso la Fontana di Trevi, a Roma. Con migliaia di persone ho partecipato all’intenso momento di riflessione e preghiera per ricordare i martiri cristiani delle persecuzioni, accompagnato da un gesto simbolico: il travertino della restaurata Fontana di Trevi si è colorato di rosso per ricordare il sangue versato da donne, uomini e bambini, solo perché hanno avuto il coraggio di seguire Cristo e di non accettare la “conversione” a un Islam cieco, famelico e violento.

Ho voluto essere in quella piazza per appoggiare l’iniziativa della Fondazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Sono più di 200 milioni i cristiani oppressi e le notizie che arrivano da ogni parte della Terra non sono confortanti, come continua a pesare il silenzio che circonda la sorte di padre Paolo Dall’Oglio, e quella di tanti altri rapiti. È lo stesso silenzio complice che si nutre di pigrizia, incapace di provocare ascolto consapevole e responsabile della storia. Molto differente dai momenti di silenzio dei quali avremmo tutti bisogno e dei quali ha scritto qualche giorno fa J. Julliard in un intervento su Le Figaro (2 maggio 2016). «Tutte le grandi avventure dello spirito suppongono il silenzio: una creazione letteraria, la poesia, la filosofia, l’incontro con Dio. E, più prosaicamente, l’educazione. Il grande naufragio della Scuola coincide col momento in cui la si è trasformata in un immenso “parlerie” dove ragione e opinione, intelligenza e balordaggine, sapere e ignoranza stanno sullo stesso piano […]. Che si tratti di silenzio religioso, poetico o amoroso, il silenzio non è assenza di suono. È invece il delizioso clima della libertà».

Ed io aggiungo: è il clima nel quale matura l’ascolto capace di provocare sdegno e rifiuto per la persecuzione di tanti uomini, donne e bambini. Ma la sofferenza e la violenza che non sopportano la nostra pigrizia sono anche quelle che continuano a toccare tanti bambini. Ho letto molte pagine di giornali in questi giorni sui fatti di Caivano; un modo per sentirmi vicino all’amico Maurizio Patriciello, parroco proprio in quella città. Pochi articoli mi son parsi intensi come quello della giornalista e scrittrice Concita De Gregorio: «Tutto è bugiardo in questa storia, a cominciare dai nomi delle cose. In un posto che si chiama Parco Verde e che non è un parco ma un serpente di palazzi e non è verde – di verde ha solo i calcinacci dell’intonaco sbrecciato – una bambina di sei anni a cui hanno messo il nome Fortuna, viene spinta giù dal terrazzo condominiale, otto piani, perché ha detto di no questa volta, all’incredibile serie di violenze “croniche e reiterate” si legge nelle carte del tribunale, di un uomo di 44 anni». Si fa molta difficoltà ad andare avanti nel resto degli articoli che riportano i dettagli di questa vicenda assurda. Domenica è arrivata la dura condanna di Papa Francesco, oltre che ancora per i persecutori dei cristiani, per gli abusi sui minori. Il Papa ha, nella stessa occasione, lodato il coraggioso servizio di prevenzione e di sensibilizzazione della fondazione Meter di Fortunato Di Noto. Pensava a Caivano, Francesco, ma di certo pensava anche agli esecrabili scandali di pedofilia ad opera di qualche uomo di Chiesa. Mi piacerebbe che l’azione di contrasto iniziata in maniera decisa da Papa Benedetto e continuata senza sconti da Francesco trovasse seguito anche da parte di altre istituzioni, in altri settori della società e all’interno di categorie professionali spesso portate tristemente agli onori, si fa per dire, della cronaca. Dopo le “Linee guida” emanate di recente dalla S. Sede e dalla CEI, a quando le “Linee guida” dell’Unione Europea, del nostro Parlamento, degli ordini professionali?

La nostra società si comporta in maniera strana nei confronti dei bambini. Da un lato, abbiamo genitori totalmente succubi dei propri bimbi, tanto da non avere un minimo di equidistanza che possa dar loro autonomia di giudizio. Di questi ho scritto la settimana scorsa come di “genitori-sindacalisti dei figli”; e di essi trovo eco efficace anche in un libretto di Marina D’Amato (Ci siamo persi i bambini, Laterza). Dall’altro lato, non c’è solo un problema di pedofilia, ma c’è anche un problema di pedofobia. Siamo costretti cioè, sempre più, a fare i conti con un gruppo sociale adultocentrico che ha timore dei bambini, che teme di avere figli, che “odia” i bambini, che inquadra i bambini come un gioco, ma non ha voglia di assumersi seriamente le responsabilità a cui i bambini pongono dinanzi.

Certo, per dei bambini è una brutta condanna nascere nelle periferie degradate; ma lì alcuni riescono anche ad essere felici, altri ce la fanno; per altri ancora si apre un futuro di riscatto grazie alla scuola, grazie alla Parrocchia, grazie ai corpi intermedi della società, quando ci sono e quando è possibile. C’è però anche tutto un mondo fatto di bambini mai nati, di bambini nati e abbandonati. Di questi ultimi si è interessato qualche giorno fa la trasmissione Rai “A su@Immagine”, ricordando la straordinaria azione fatta dal grande giornalista Mino Damato e ancora viva attraverso la sua Fondazione Bambini in emergenza. La pigrizia che soppianta la misericordia, per tornare a Pascal, la si vince anche così, permettendo di disegnare un mondo un po’ diverso da quello caratterizzato da egoismi eccessivi e da narcisismi che sembrano non accorgersi dei “Novantamila figli soli”, come ha titolato qualche giorno fa un quotidiano italiano riferendosi al record di Baby-migranti che rischiano di finire nelle mani di crimine e malavita. Il punto di vista del bambino, spesso, ci è scomodo in periferia come nel centro. La pedofobia riguarda tutta la nostra società. Non è un crimine come la pedofilia, ma se da un lato la pedofilia è un reato contenuto, la pedofobia, come ha sottolineato Paolo Crepet, è un tratto caratteristico della nostra società della “sfamiglia”.

Le riflessioni sulla violenza, in settimana, son continuate quando son venuto a conoscenza di un’officina creativa che si trova in una viuzza di Roma, dalla parti del Vaticano, nella zona dei borghi. Quest’officina ospita alcuni lavori, fra le altre cose, di giovani che in passato hanno avuto a che fare con la violenza e che oggi scontano la loro pena nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia. Chissà, forse non tutti tra loro avranno l’occasione di una nuova vita fuori, ma intanto cercano una vita possibile dentro il carcere, con la creatività. Sebastiano, uno di questi ragazzi ha scritto a Papa Francesco: «Santità io e i miei compagni di sventura, detenuti come me, stiamo confezionando una “maleta” come quella dalla quale lei non si separa mai nei suoi lunghi viaggi. Lavoriamo con materiali di riciclo e crediamo nel nostro lavoro di recupero sia dei materiali che della nostra dignità. Vorremmo avere l’onore di poterle consegnare questo regalo che ci è stato ispirato dal suo aver indetto un Giubileo per noi ultimi, bisognosi di misericordia».

Sono segni e parole come queste, interventi coraggiosi come quelli papa Francesco, di Mino Damato e di Fortunato di Noto e di tanti altri che mi è capitato di evocare nelle righe precedenti a dirmi che un mondo più vivibile è possibile. Non se ne accorgeranno e non potranno goderne solo quanti continuano pigramente a non desiderare e a non osare il nuovo.

Nunzio Galantino è Segretario Generale della Cei

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