Unioni civili alla stretta finale: se le promesse verranno mantenute e il testo votato al Senato da domani sarà blindato alla Camera, anche in Italia tra pochi giorni le coppie omosessuali avranno un riconoscimento dallo Stato.
Di fatto un matrimonio con qualche cosa in meno - l’obbligo di fedeltà e la possibilità di adottare - e una via breve in caso di crisi che permette di arrivare al divorzio senza passare per la separazione.
Ma fuori dalla luce dei riflettori, tutti puntati sulla battaglia per i diritti dei gay, la riforma Cirinnà cambia in modo profondo il diritto di famiglia.
Basta, ad esempio, una semplice dichiarazione all’anagrafe e le convivenze more uxorio diventano convivenze registrate con attribuzione di vari diritti, tra cui la successione nel contratto di locazione, la visita in ospedale e l’assistenza reciproca, la permanenza nell’abitazione in caso di morte del compagno. E il legame si può ulteriormente rafforzare con un contratto che regoli le “partite” economiche.
Questo significa che le formazioni familiari riconosciute a diverso titolo diventano tre: matrimonio, unione civile (riservata alle persone dello stesso sesso), convivenza registrata. Rimane invece fuori dall’orbita delle norme la coppia di fatto “semplice”, salvo applicazione per analogia nei casi in cui si dovesse finire in tribunale.
Cambia, insomma, il concetto legale di famiglia, che si moltiplica perdendo contorni netti e noti. Si modifica persino il diritto successorio, uno degli istituti più antichi del Paese, formato su un concetto di parentela così ampia da risultare anacronistica una volta conclusa (cento anni fa) l’esperienza della famiglia patriarcale: il Codice civile dovrà infatti accogliere tra gli eredi «necessari» anche il partner dell’unione civile.
Un cambio di passo che avviene non senza controindicazioni, per almeno due motivi di ordine diverso. Perché l’attribuzione di diritti e doveri, che si accentua partendo dalle convivenze semplici per arrivare al matrimonio vero e proprio, è vischiosa e sembra corrispondere più alla tendenza nostrana di normare tutto (non scontentando del tutto nessuno) che a un quadro legislativo meditato. E perché il salto è notevole, e forse oltre le premesse, in un Paese dove i mutamenti della cosiddetta società liquida convivono con un forte attaccamento alla tradizione, e la giurisprudenza, nazionale ed europea, ha spesso dovuto fare da supplente e da pungolo.
Una riforma, quella in arrivo, che presenta molte aree grigie, frutto di evidenti compromessi e che subirà la prova della traduzione in pratica e il prevedibile vaglio di numerose Corti di giustizia. A partire dalla spinosa questione “figli”, su cui già suonano i tamburi di guerra pro o contro le adozioni gay. Per continuare con questioni più spicciole, ma certo assai diffuse, quali l’indeterminatezza degli alimenti quando dovesse rompersi una convivenza registrata o la mancanza di un loro registro nazionale.
Ma per quanto perfettibile, la legge Cirinnà avrà comunque il pregio di colmare una lacuna che ha condannato il nostro Paese in coda all’Europa negando finora, nella Patria del diritto, i diritti di alcuni perché considerati diversi.
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