Bisogna accertare al più presto la verità sulle ipotesi investigative di infiltrazioni mafiose nei vecchi lavori per Pompei. L’ipotesi della presenza di imprese vicine alla mafia nei restauri del sito è inquietante ed è necessario andare fino in fondo per sapere se sia stata una presenza limitata nel tempo o sia proseguita fino a oggi. Quel che bisogna evitare comunque è che il conto lo paghi Pompei e il progetto di restauro. Dobbiamo fare come con l’Expo. Continua pagina 10
Come nel caso dell'evento milanese, anche a Pompei bisogna lasciare che le indagini facciano il loro corso e al tempo stesso lo Stato deve usare gli strumenti a sua disposizione per “isolare” i comportamenti criminali – se ci sono ancora o sono comunque capaci di condizionare le imprese appaltatrici - dallo svolgimento dei lavori di restauro.
Il «modello Expo» ha utilizzato il commissariamento delle imprese inquinate (previsto dal decreto legge 90/2014) e l'alta vigilanza dell'Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone per “ripulire” le imprese con nuove gestioni libere dai condizionamenti criminali e portare a termine i lavori. Niente sconti ai criminali che vanno non solo perseguiti penalmente ma comunque allontanati dai cantieri se dovesse risultare che ancora vi partecipano.
È presto per valutare se lo stesso identico modello sia applicabile a Pompei o se serva una variante rispetto a quanto fatto a Milano. Certo è che nella sostanza la strada da perseguire, qui e altrove, è quella. Tanto più bisogna tutelare - con la verità dei processi e con la prosecuzione dei lavori - il progetto di recupero di un luogo che tutto il mondo ci invidia.
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