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Innovazione, l’anno della svolta

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le vie della ripresa

Innovazione, l’anno della svolta

La ricetta per far ripartire l’Italia è puntare su Ricerca e Innovazione. Come Confindustria lo predichiamo da tempo, e ora registriamo, con soddisfazione, tre novità di rilievo. In occasione del suo insediamento il 10 maggio, il neoministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ha espresso lo stesso concetto, ponendo una grande enfasi su Industria 4.0 e sull’innovazione. Ieri il Senato della Repubblica ha approvato il DDL di conversione del decreto legge sulla scuola, decreto chiave del Governo di Matteo Renzi che contiene anche misure importanti per la ricerca, a iniziare dal progetto Human Technopole. Il primo maggio, festa del lavoro, il CIPE ha varato l’attesissimo Piano Nazionale della Ricerca. Per le imprese italiano sono notizie incoraggianti.

Nel PNR ci sono 2,5 miliardi di investimenti programmati da qui al 2018. È vero che le risorse per la collaborazione pubblico privato e la ricerca industriale sono prevalentemente puntate sulle aree in ritardo di sviluppo, ma non c’è dubbio che lo sforzo del Governo c’è stato. Gli investimenti nei territori trainanti il Paese sono ancora pochini (circa 200 mln di euro), e non è ancora chiara e definita la quantità per la ricerca industriale, ma forte è il riconoscimento ai cluster tecnologici e il PNR stesso prevede che il Governo intervenga incrementando questa dotazione. Aspettiamo che le risorse vengano rese effettivamente disponibili e quindi spendibili. Auspichiamo che lo siano in tempi ragionevolmente brevi, oggi nella ricerca la parola “tempo” non è una variabile indipendente, ma un elemento essenziale di competitività.

Ma non è solo con il denaro che risolviamo i problemi del nostro sistema di produzione del sapere, esso ha bisogno per prima cosa di una visione di lungo termine, di una costante e paziente applicazione nel tempo di ciò che si pianifica, di un’attenta misura dei risultati raccolti, di selezionare il merito e la competenza e dare valore al lavoro di chi la ricerca e la sperimentazione la fa tutti i giorni nei centri pubblici come nelle aziende private, ingredienti senza cui le risorse sono inutili se non dannose.

La lettura del Piano non può perciò limitarsi solo alle risorse previste. C’è comunque una visione, una cornice che ci mancava, una prospettiva. Il che significa molto. Diversi elementi sollecitano la nostra riflessione e la collegano ai temi oggi al centro del dibattito, penso soprattutto alla vexata quaestio sull’approccio top down o bottom up al sistema della ricerca italiana. Il PNR offre qualche buona indicazione utile a uscire dal collo di bottiglia in cui sembra essersi un po’ infilato il confronto. Dall’alto c’è una chiara scelta delle aree di specializzazione su cui concentrare lo sforzo, collegandosi alla strategia di specializzazione intelligente e alle direzioni di sviluppo tecnologico indicate dall’Europa con Horizon 2020. Dal basso, per così dire, ci sono diversi programmi d’intervento per valorizzare la qualità, dal potenziamento delle infrastrutture di migliore qualità, ai PhD in azienda, misura pensata e voluta fortemente da Confindustria, a un piccolo programma di quality spending per la selezione dei migliori.

La linea di intervento sul capitale umano è ben ponderata. Noi dobbiamo essere consapevoli che proprio questa è l’infrastruttura più importante e quindi auspichiamo che sia in ambito pubblico che privato siano messe in atto le giuste iniziative per valorizzare i giovani e i meno giovani impegnati in ricerca.

Confindustria auspica anche che in questi anni il programma faccia leva generando quell’effetto moltiplicatore che tutti auspichiamo. Uno a sei è l’impatto stimato dal documento presentato al CIPE, che tradotto in cifre sono quattordici miliardi di investimenti da qui al 2020. L’obiettivo è ambizioso, come è giusto che sia. Qui sta il fulcro dell’impalcatura di tutto il PNR, la relazione virtuosa che saprà generarsi tra sapere ed economia reale nella trasformazione della conoscenza in valore economico.

Questa è la scommessa decisiva per il suo successo. Una scommessa da vincere anche con l’alleanza tra pubblico e privato, che è la sola strada per fare massa critica, per raggiungere dimensioni e volumi di innovazione di qualità quantomeno confrontabili ai nostri competitori. Non si fa nulla da soli, non si scarica valore senza mettere in comune il sapere. La ricerca pubblica può diventare un grande dipartimento diffuso di ricerca e sviluppo per l’impresa che non può permettersi investimenti e strutture così impegnative.

Poi c’è la trasformazione del disegno strategico in esecutivo, cioè in fatti. L’avvio operativo del programma dovrà avvenire in netta discontinuità con quanto finora accaduto in tanti casi. La delusione di molte imprese che hanno aderito ai cluster nazionali nella speranza che fosse l’occasione giusta per definire agende e programmi di collaborazione pubblico privata è ancora viva.

Oggi la ricerca italiana non ha una struttura di governo, di selezione e valutazione dei programmi, efficiente e in grado di gestire piani complessi. Qualunque sia la struttura che il Governo sceglierà, è chiaro che dobbiamo uscire dagli schemi tradizionali. Occorre creare una forte discontinuità che ci allinei con i sistemi che hanno fatto della ricerca una leva strategica per la crescita. Il 2016 per l’Italia potrebbe essere davvero l’anno di svolta.

Vice Presidente Confindustria per Ricerca e Innovazione

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