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Limiti elastici per i titoli sovrani

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le banche e il debito pubblico

Limiti elastici per i titoli sovrani

Nelle ultime settimane si è potuto assistere nella stampa e politica italiana a una levata di scudi generalizzata contro l’idea di fissare dei tetti all’esposizione delle banche verso il loro debito sovrano.

Il rigetto dei limiti alla concentrazione del rischio sovrano nei bilanci delle banche sembra basarsi su due elementi.

Primo: le banche italiane detengono molto debito pubblico italiano e costringerle a diversificare sarebbe un disastro.

Secondo: è un’idea tedesca.

Per iniziare con la seconda ragione: è sbagliata, perché oramai la maggioranza degli economisti a livello internazionale è giunta alla conclusione che le banche che detengono troppo debito nazionale rappresentano un fattore di rischio. L’eccessiva esposizione ai titoli sovrani alimenta il circolo vizioso tra governo debole che mette in difficoltà le banche, e banche deboli che aumentano la precarietà della finanza pubblica quando i rischi sono più elevati.

I titoli nazionali detenuti dalle banche non costituiscono naturalmente l’unica ragione di questo “doom loop”, così come è stato chiamato. Ma lo rinforzano considerevolmente. In Italia il problema divenne evidente tra il 2011 e il 2012, gli anni più acuti della crisi, quando si calcolavano le perdite di capitale in cui sarebbero incorse le banche Italiane se avessero dovuto riconoscere il ridotto valore di mercato del loro portafoglio di titoli di stato.

La Grecia rappresenta poi l’esempio estremo del rischio di un’eccessiva concentrazione sul debito sovrano nazionale. Quando è arrivato il momento del default, le banche hanno perso tutto il loro capitale, e un governo già fallito ha dovuto farsi carico della ricapitalizzazione. Il paese avrebbe potuto risparmiare 50 miliardi di euro (più di un quarto del Pil) se le banche Greche avessero diversificato il loro portafoglio titoli.

Mettere dei limiti alla concentrazione del rischio sovrano per le banche non è pertanto un’“idea tedesca”. Scaturisce invece da un principio fondamentale e generale: la diversificazione del rischio. Inoltre, dovrebbe essere naturale che in un mercato bancario integrato le banche detengano un portafoglio diversificato di titoli di stato, invece di fungere da compratore di ultima istanza per il loro governo nazionale (o, nel caso di gruppi internazionali, piuttosto del governo dove ha sede legale la capogruppo).

Secondo, non si può obiettare che mettere dei limiti oggi costringerebbe le banche italiane a mettere sul mercato centinaia di miliardi di Bot e Btp, innescando possibilmente una nuova crisi. Prima di tutto perché i limiti andrebbero introdotti gradualmente. Le banche sarebbero libere di mantenere l’intero portafoglio attuale fino a scadenza. I limiti varrebbero soltanto per i nuovi acquisti.

L’argomento che i limiti alla concentrazione delle esposizioni diminuirebbero la domanda per i titoli stato italiani non è poi corretto in maniera generale. Dato che lo stesso principio verrebbe applicato in tutti i paesi della zona euro, tutte le banche, non solo le italiane, sarebbero costrette a diversificare il loro portafoglio e la domanda totale, aggregata, di titoli sovrani rimarrebbe invariata. Le banche tedesche, francesi e di altri paesi non avrebbero altra scelta che comprare più titoli di stato italiani per soddisfare i loro bisogni. In realtà, costringere tutte le banche della zona euro a diversificare equivarrebbe, in un certo senso, all’introduzione di un eurobond sintetico: creerebbe domanda per un paniere diversificato contenente titoli di stato di tutti i membri della zone euro.

L’argomento principale contro i limiti all’eccessiva esposizione delle banche è che in tempi di crisi, quando regna il panico, è utile avere un compratore di ultima istanza per calmare il mercato. Il programma Omt, che permette alla Bce di comprare titoli di stato di Paesi in situazione di stress finanziario, è stato ideato proprio per assolvere a questo compito. Ma l’attivazione dell’Omt presuppone un programma di aggiustamento del fondo salva stati (Esm) con condizioni potenzialmente molto stringenti sul governo del paese in difficoltà. Si capisce che il governo italiano voglia evitare questo scenario e mantenere aperta la possibilità che, in caso di crisi, possa ricorrere a un altro compratore affidabile e senza condizioni. In pratica però non bisogna dimenticare che le banche saranno in grado di comprare debito nazionale soltanto se la quantità di titoli presenti nei loro bilanci, al momento in cui la crisi comincia, non è troppo alta.

Che fare allora? Per sciogliere questo nodo ci vogliono limiti “elastici”, ossia dei limiti alla concentrazione del rischio sovrano stretti in tempi normali, ma con la possibilità di allentarli in tempi di crisi. In pratica un’opzione potrebbe essere di fissare un limite generale di concentrazione del rischio, simile a quello che già esiste per le esposizioni verso il settore privato e che questo limite possa essere allentato quando emergono pericoli per la stabilità del sistema finanziario. L’istanza che decide se sussistono pericoli per la stabilità finanziaria dovrebbe essere la Bce, un’istituzione indipendente, che è l’organo di vigilanza delle banche, e soprattutto l’ultimo garante della stabilità finanziaria.

La difesa a oltranza della situazione attuale non è nell’interesse dell’Italia. Qualora nuove tensioni dovessero affiorare sul mercato dei titoli sovrani, data la loro alta esposizione, le banche italiane non potrebbero comprare altri Bot e Btp. E comprensibile che le banche italiane oppongano tali limiti per continuare a guadagnare circa 100 punti di base di più (relativamente ai rendimenti di titoli di altri sovrani nella zona euro) sulle centinaia di miliardi di debito pubblico italiano che detengono; ma il governo italiano dovrebbe adottare un approccio più lungimirante.

Accettare limiti elastici per il debito sovrano detenuto dalle banche è nell’interesse del paese e avrebbe il vantaggio addizionale di aprire la strada al completamento dell’Unione bancaria con un sistema comune di garanzia dei depositi bancari.

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