Non credo di essere l’unico che è rimasto un po' perplesso di fronte alla doppia mossa di Berlusconi: prima candidare Bertolaso a sindaco di Roma, poi fare una clamorosa marcia indietro a favore di Marchini. La prima mossa è parsa a molti sorprendente per l’autolesionismo, stante la debolezza del candidato prescelto. La seconda mossa, appoggiare il “moderato” Marchini, è apparsa ancora più sorprendente in termini politici. Berlusconi ha passato una vita a denunciare il ruolo frenatore dei centristi, ha spesso attribuito le cose non fatte dai suoi governi agli ostacoli che l’azione riformista incontrava nei vari Fini-Casini-Follini, ha passato gli ultimi due anni a denunciare il carattere trasformistico e perdente del Nuovo Centro Destra di Alfano, e ora che cosa fa? Con l’appoggio a Marchini riceve il plauso entusiastico di tutte quelle forze moderate, centriste, cattoliche, che fino a ieri considerava immobiliste e destinate a un triste crepuscolo elettorale.
Che cosa è accaduto? La mossa di Berlusconi è contingente e circoscritta alle elezioni comunali di Roma? O prelude invece a un cambio di strategia anche a livello nazionale, con la dissoluzione dell’alleanza con Lega e Fratelli d'Italia, solennemente annunciata pochi mesi fa a Bologna?
Sono domande che apparentemente riguardano lo schieramento di centro-destra, ma in realtà toccano tutti, perché dalla risposta ad esse dipende come funzionerà il nostro sistema politico nei prossimi anni. È molto diverso, infatti, immaginare un sistema in cui tre forze (sinistra, destra, Cinque Stelle), si contendono il governo del paese, o invece un sistema in cui la presenza di due destre, o di una destra profondamente divisa, lascia il campo a due sole forze, la sinistra e il movimento di Grillo. Se quella su Marchini è stata solo una scelta locale avremo un sistema tripolare, se invece è stata una scelta strategica in Italia potrebbe instaurarsi un assetto politico in parte inedito ma in parte reminiscente degli equilibri dell’era craxiana.
“Se quella su Marchini è stata solo una scelta locale avremo un sistema tripolare, se invece è stata una scelta strategica in Italia potrebbe instaurarsi un assetto in parte inedito”
Supponiamo che, dopo le elezioni comunali, non si ricostituisca la “triplice alleanza” Berlusconi-Salvini-Meloni, un’eventualità neanche poi così improbabile, visto che per produrla sarebbe sufficiente che Salvini pretendesse di guidare il centro-destra. Che cosa potrebbe fare Forza Italia? Una possibile risposta è: esattamente quel che hanno fatto i piccoli partiti e gruppi parlamentari che forniscono a Renzi i voti di cui ha bisogno. Con una differenza, però: se Forza Italia restasse vicina al 10% e il suo apporto risultasse indispensabile per resistere alla crescita elettorale delle forze populiste (Lega, Cinque Stelle, Fratelli d’Italia), Berlusconi potrebbe ritagliarsi un ruolo analogo a quello che negli anni ’80 ebbe il suo amico Bettino Craxi. Anche allora un solo partito (la Dc) restava imperturbabile e inamovibile al governo, anche allora le forze antisistema (fascisti e comunisti) venivano tenute alla larga dal potere grazie a una formula (il pentapartito) fondata sull’alleanza di due soggetti principali (la Dc e il Psi) e l’apporto mai indispensabile di quelli che noi studiosi di elezioni chiamavamo talora “i fricioletti”, ossia le piccole forze che poco contano ma amano stare al governo. In un domani non molto lontano il posto di perno del sistema che fu della Dc potrebbe essere assunto stabilmente dal Pd, e quello dell’alleato socialista Craxi dall'alleato forzista Berlusconi.
Solo fantapolitica?
Può darsi. Del resto, come amava ricordare Gianni Brera, non sbaglia mai pronostici solo chi non ne fa. E tuttavia due considerazioni mi inducono a non trattare con troppa sufficienza la possibilità di un simile scenario.
La prima considerazione è che, appena pochi giorni fa, è stato lo stesso Berlusconi ad evocarlo quando, alla presentazione della candidatura di Marchini a sindaco di Roma, ha delineato un percorso politico molto preciso: primo, “avviso di sfratto a Renzi” con le comunali di giugno; secondo: “a ottobre vittoria del fronte del no” al referendum costituzionale di autunno; terzo: “governo di unità nazionale per cambiare la legge elettorale”. Mi sembra difficile immaginare un governo di unità nazionale con Grillo e Salvini, quindi tendo a pensare che quel che Berlusconi immagina sia un governo Pd-Forza Italia “più fricioletti”, capace di tenere ai margini le forze antisistema, proprio come nei gloriosi anni ’80 del secolo scorso. Certo gli attori cambiano, perché il Pd non è la Dc, Forza Italia non è il Psi, e le forze antisistema non sono tenute in piedi dall'ideologia ma dal risentimento popolare. Però lo schema e le parti in commedia sembrano quelle, a grandi linee.
C’è una seconda considerazione che mi fa prendere sul serio lo scenario “Renzi e Berlusconi contro tutti”, una sorta di Kleine Koalition delle forze moderate contro quelle populiste. Ed è che, se facciamo un piccolo sforzo di deprovincializzazione del discorso, se la smettiamo di guardare solo all’immagine mediatica dei leader e ai fantasmi dell’opinione pubblica più ideologizzata, e riflettiamo invece sulla sostanza delle politiche, specie in campo economico, Renzi e Berlusconi già molto si somigliano (forse più nel bene che nel male delle rispettive politiche), e in definitiva altro non farebbero che importare in Italia uno schema che è già molto consolidato in Europa. La marea delle forze anti-Europa, anti-immigrati, anti-euro sta montando da anni un po’ ovunque, né vi sono motivi per pensare che sia destinata ad arretrare nei prossimi anni, almeno finché le autorità europee resteranno immobili e divise, e il tasso di criminalità degli stranieri resterà il doppio, il triplo o il quadruplo di quello dei nativi (per la cronaca, in Italia è il quintuplo, un altro record del nostro paese). In queste condizioni diventa estremamente difficile formare un governo classico, di destra o di sinistra che sia, e diventa spesso inevitabile formare governi sinistra-destra di coalizione (ormai piccola, o kleine, perché socialisti e popolari sono in declino), come quelli di Austria, Germania, Olanda, Lussemburgo, Repubblica Ceca, o formare governi di minoranza (come è appena successo in Irlanda), o restare senza governo e indire nuove elezioni (come sta succedendo in Spagna).
Insomma, l’eventualità di una alleanza di governo fra il partito di Renzi e quello di Berlusconi mi pare nell'ordine delle cose possibili. Non perché la distanza fra il partito di Berlusconi e quello di Renzi sia piccolissima, ma perché, in un’Europa lacerata dai conflitti e dalle tensioni, è diventata molto minore di quella che separa entrambi dalle forze populiste, che di quei conflitti e di quelle tensioni si nutrono.
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