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La trasparenza segna un punto ma la strada è ancora lunga

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La trasparenza segna un punto ma la strada è ancora lunga

«Obblighi di pubblicazione di cui all’art. taldeitali, comma taldeitali». Quando un ministero, o un Comune, utilizzano su Internet richiami come questo per linkare i dati sulle indennità dei politici, gli stipendi dei dirigenti o il tempo medio impiegato per onorare le fatture con le imprese creditrici, dimostrano in modo evidente un dato di fatto: la trasparenza nei confronti dei cittadini è un fatto di cultura oltre che di regole. Per questa ragione, non sarà semplice nemmeno al Freedom of Information Act portare davvero in un mondo anglosassone i nostri uffici pubblici abituati dalla storia a un’italianissima cultura dell’adempimento che spesso vince sulla sostanza.

La forza di questa tradizione ha ispirato larghi passaggi anche del testo iniziale del decreto, fino al paradosso di infilare in un provvedimento ispirato alla trasparenza totale l’archeologico silenzio-rifiuto, in base al quale «la richiesta si intende respinta decorsi inutilmente 30 giorni». La morale sembrava chiara: anche di fronte a un indirizzo politico chiarissimo, lanciato in prima persona dal premier Renzi insieme alla ministra Madia, il corpo della Pubblica amministrazione sembrava intenzionato a proseguire per la propria strada, senza farsi troppo disturbare dalla pretesa di novità.

Va dato atto al governo che questo esito per ora non si è verificato. Le proteste dell’opinione pubblica, le critiche puntuali del Consiglio di Stato e le indicazioni del Parlamento hanno trovato orecchie attente a Palazzo Vidoni, e il testo tornato ieri sui tavoli di Palazzo Chigi è in molti punti un parente molto lontano del decreto iniziale: via il silenzio-rifiuto, via le richieste senza limiti prefissati di «rimborsi» a carico del cittadino che si azzarda a fare una richiesta, e via anche il ricorso al Tar come unica opzione per ottenere udienza presso un ufficio pubblico che la rifiuta.

Questa evoluzione è importante anche dal punto di vista politico, perché quello sulla trasparenza è il primo decreto attuativo a tagliare il traguardo all’interno di una riforma che ha puntato parecchio in alto sul piano delle promesse di innovazione e semplificazione della Pa. La strada verso i primi risultati reali, però, è ancora lunga: non solo per la fase di transizione che il decreto concede alle pubbliche amministrazioni per riorganizzarsi, ma anche perché una volta fissata la norma bisognerà avviare davvero una cultura vera della trasparenza. Da questo punto di vista, sarà essenziale la cabina di regia che il decreto disegna per monitorare l’attuazione della riforma: alcuni meccanismi di rimpallo fra le richieste dei cittadini e le opposizioni dei «controinteressati», insieme ad alcuni criteri forse troppo generali (come la «stabilità finanziaria dello Stato») per giustificare la mancata risposta mostrano che le insidie non sono poche: e che l’Anac, ancora una volta chiamata a garante, non avrà un lavoro facile.

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