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Dossier Il ruolo decisivo di Cina e India

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Dossier | N. 40 articoliI rapporti della Fondazione Hume

Il ruolo decisivo di Cina e India

Giovani di Mumbai. Pur se meno spettacolare di quella cinese, anche la crescita indiana ha ridotto le disuguaglianze. (Bloomberg)
Giovani di Mumbai. Pur se meno spettacolare di quella cinese, anche la crescita indiana ha ridotto le disuguaglianze. (Bloomberg)

Più diseguali, e più uguali. Il dibattito sulla disuguaglianza è esploso l'anno scorso, con la pubblicazione del libro “Il capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty, secondo il quale il rendimento del capitale, maggiore della crescita economica in assenza di interventi statali, è il motore della disuguaglianza nell'economia moderna.

È però almeno da inizio secolo che se ne parla: da quando il Fondo monetario internazionale ha iniziato a esaminare prima i dati sulla distribuzione del reddito poi gli effetti della diseguaglianza sulla crescita. Con la Grande recessione, hanno fatto discutere molto le tesi di Raghuram Rajan, affidate al libro Terremoti finanziari: secondo l'ex capo economista dell'Fmi, oggi governatore della Reserve Bank of India, la politica, di qualunque orientamento, avrebbe affrontato i problemi della diseguaglianza non più attraverso le tasse ma attraverso gli incentivi al mercato immobiliare. La crisi – sosteneva Rajan – è nata nel settore dei mutui subprime, destinati a persone prive di garanzie, che sono stati sostenuti da agenzie statali e incentivati da 700 interventi legislativi.

Questo dibattito ha solo lentamente scalfito un comune sentire – un classico uso ideologico di risultati scientifici – che sottolineava alcune evidenze. Innanzitutto l'inevitabilità di un certo livello di diseguaglianza: i lavoratori più anziani guadagnano più dei giovani e questo rende difficile capire quando la diseguaglianza diventa eccessiva; poi il peso che le politiche “egualitarie” – in genere basate su imposte – hanno sulla crescita. Da un punto di vista politico, se ne deduceva l'irrilevanza del tema della diseguaglianza purché fosse assicurata la mobilità sociale. In un sistema sociale ed economico che permette l'”ascesa” dei meritevoli, la diseguaglianza è l'incentivo giusto: è tornato a parlarne proprio nei giorni scorsi Tyler Cowen, direttore del Mercatus Center della George Mason University.

Due presupposti di questa argomentazione sono però saltati. La diseguaglianza in sé – hanno dimostrato gli economisti dell'Fmi – è un freno alla crescita, se eccessiva. La mobilità sociale, inoltre, si riduce sempre più. Alcuni paesi, come l'Italia, sembrano bloccati, ma anche negli Stati Uniti, il Paese delle opportunità, si teme sia calata, e sicuramente non è aumentata).
L'intero dibattito si inserisce in quello, parallelo, sulla globalizzazione: il libero movimento di beni e capitali (e, in misura minore, di persone, con l'immigrazione) ha davvero ridotto la povertà? Ha danneggiato o aiutato le classi medie dei Paesi ricchi? Come risultato di tutta questa discussione, la diseguaglianza è tornata un tema rilevante; e misurarla, lavoro non semplice, è diventato un compito fondamentale.

Il rapporto della Fondazione Hume vuole contribuire a questi studi ponendosi come obiettivo la misurazione della diseguaglianza sotto tre aspetti, collegati. La diseguaglianza tra i Paesi – ciascuno “pesato” in base alla sua popolazione – la diseguaglianza all'interno di ciascun Paese, e la diseguaglianza del mondo considerato come un'economia unica.
La diseguaglianza tra Paesi, dopo essere salita lentamente tra 1960 e 1980, ha poi iniziato a calare, con una velocità che è diventata piuttosto rapida dopo il 2000. Ha pesato il successo della Cina, per le sue dimensioni e per le sue performances, e infatti escludendo questa economia, la diseguaglianza fra Paesi aumenta fino al 2000, anche se da allora è comunque in calo. Il rapporto sottolinea come questo andamento sia anche dovuto al rallentamento delle economie ricche.

Soffermandosi solo sulle economie avanzate, la tendenza appare opposta. La diseguaglianza tra Paesi cala rapidamente fino al 1982, poi risale lentamente e torna a calare dal 2000 in poi. Gli ultimi dati mostrano che è tornata ai minimi di 32 anni fa.
La diseguaglianza interna tra Paesi mostra intanto un forte incremento dal 1982. Anche in questo caso pesa la crescita della diseguaglianza della Cina, e dell'India. Anche escludendo queste due economie, però, si nota un aumento delle diseguaglianze fino al 1996, e poi una sostanziale stabilità dell'indice.

Una suddivisione del mondo in diversi gruppi mostra però dinamiche molto diverse: è molto aumentata la diseguaglianza, oltre che in India, Cina e alcune altre economie asiatiche, nei Paesi ex comunisti, mentre è calata, dalla fine del secolo scorso in poi, in America Latina e in diversi (ma non tutti) i Paesi africani. Nelle economie avanzate, la tendenza è stata quella di una crescita lenta dall'82 in poi, ma ogni Paese sembra avere una storia a sé.
La conclusione comune che si può trarre è che «nelle società avanzate la diseguaglianza è oggi più alta che quarant'anni fa, ma attualmente la tendenza dominante è alla diminuzione». Nel mondo intero, considerato come un'unica economia, ha prevalso infine la tendenza alla riduzione delle diseguaglianze tra i cittadini del mondo: a partire dal 2000 circa il pianeta è diventato «nel complesso un po' più uguale».

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