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Cosa ci insegna Altiero Spinelli

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anniversari

Cosa ci insegna Altiero Spinelli

A indurre Altiero Spinelli ad abbracciare la causa europeista era stata non solo la sua profonda avversione ai nazionalismi bellicisti della Germania nazista e dell’Italia fascista. Aveva contribuito anche la sua reazione al fittizio internazionalismo (in nome del proletariato) della Russia di Stalin: ragion per cui era stato espulso nell’agosto 1937, mentre si trovava al confino di Ponza, dal Partito comunista (in cui militava dal 1924) con l’accusa di «deviazione ideologica e presunzione piccolo-borghese». Fu così lui, nel luglio 1941, a redigere buona parte del «Manifesto di Ventotene» (isola in cui era stato confinato dal Regime), affiancato da Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. In base a una severa riflessione sulle cause delle degenerazioni dittatoriali e dell’immane catastrofe abbattutasi sull’Europa, aveva infatti maturato il convincimento che fosse dovere imprescindibile della sua generazione battersi per impedire la resurrezione dalle ceneri della guerra di nuovi antagonismi nazionalistici e bandire ogni forma di potere dispotico.

Dall’immediato dopoguerra il «Manifesto di Ventotene» divenne quindi la Bibbia del movimento europeista, poiché si trattava di un programma d’azione politica, che era di creare un “partito rivoluzionario federalista”, il cui fine precipuo fosse l’avvento di un’Unione europea, con a capo «un governo eletto dai popoli», che avesse per fondamenti comuni «uno scettro, una moneta, una spada».

Di fatto, il superamento della sovranità nazionale fu il leitmotiv della battaglia ingaggiata da Spinelli per propagare l’idea che fosse indispensabile creare in Europa un’entità democratica sovranazionale. Quest’obiettivo lo portò a sollecitare i promotori delle prime istituzioni comunitarie (da Schuman a Spaak, da De Gasperi a Monnet, ad Adenauer) a compiere ulteriori passi verso la costruzione di una “casa europea”; e, dopo la creazione nel 1957 della Cee, a chiedere ai sei governi che l’avevano istituita, il passaggio, da una “Europa dei mercanti” e da una “Europa delle patrie”, a una vera e propria Europa federata, che includesse la Gran Bretagna e altri Paesi (come Spagna, Portogallo e Grecia, man mano affrancatisi da regimi autoritari).

Lo aveva perciò deluso che il Parlamento europeo, eletto per la prima volta nel giugno 1979, fosse rimasto privo di effettivi poteri legislativi. Non s’era dato comunque per vinto, consapevole che l’Europa non sarebbe “caduta dal cielo” (il titolo di un suo scritto del 1960). Tutt’altro che un visionario senza alcun senso pratico (come da più parti lo si voleva dipingere), Spinelli riteneva che il modello “funzionalista” basato sull’arbitraggio intergovernativo fra orientamenti differenti, non era tale da escludere la gestazione in futuro di un assetto federale.

Di qui la sua convinzione che l’unione politica potesse costruirsi anche dall’alto, e non solo dal basso (con il coinvolgimento diretto dei cittadini), per cui aveva lavorato, dopo il 1970, a Bruxelles quale commissario per la politica industriale e la ricerca; ed entrato nel Parlamento europeo (come indipendente nelle liste del Pci), s’era imposto nei dibattiti all’Assemblea di Strasburgo per i suoi efficaci interventi sui temi della politica estera e della sicurezza. Spinelli aveva così avuto modo di raccogliere intorno alle sue idee un crescente numero di consensi: al punto di dar vita a un gruppo di parlamentari di diverse tendenze, al fine di formulare un progetto di riforma istituzionale della Comunità. In sostanza, si sarebbe dovuto introdurre il voto di maggioranza nelle procedure decisionali del Consiglio europeo ed elaborare un nuovo trattato che, integrando quello istitutivo della Cee, contemplasse quale mèta finale l’unificazione politica.

Con la vigorosa passione e la tempra del lottatore che lo contraddistinguevano, Spinelli condusse perciò una nuova battaglia per il riconoscimento di un maggior peso al Parlamento e una concreta cooperazione nella politica estera in una fase in cui cominciavano ad avvertirsi i sintomi di scollamento del blocco comunista dell’Est. Questo suo ulteriore impegno venne premiato, seppur in parte, dal documento, votato nel febbraio 1984 dall’Assemblea di Strasburgo, in cui si auspicava un’estensione delle competenze della Comunità nei campi della politica estera e della difesa. Ciò che costituì il preludio, nel febbraio 1986, dell’«Atto unico europeo».

È vero che Spinelli considerò una sorta di aborto, rispetto alla proposta, da lui patrocinata, di passare entro il 1989 a una Costituente per il varo di un’unione politica. Ma, ben sapendo che la partita europea dipendeva da una combinazione fra idealismo e pragmatismo, esortò i deputati europei, in un famoso discorso, a dare via libera all’«Atto unico». Pochi mesi dopo, il 23 maggio, venne stroncato da un male che lo perseguitava da vari anni.

Oggi la lezione di Spinelli rimane di stringente attualità. Tanto più in un’Europa che si trova alle prese non solo con le conseguenze di una pesante recessione, ma pure con la reviviscenza di irruenti tendenze populiste e nazionaliste. Si dovrebbe comprendere perciò, a maggior ragione, come l’unità politica, lungi dall’essere un’utopia, costituisca in pratica l’unico reale antidoto al rischio di deriva dell’Europa.

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