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La «bellezza» come motore della crescita

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L'Analisi|l’analisi

La «bellezza» come motore della crescita

«Bella», «bellezza», «cultura» sono le parole nuove, e ricorrenti, che Vincenzo Boccia ha usato – introdotto da un filmato sulla creatività, le competenze e il patrimonio artistico e industriale italiani – nel suo discorso d’insediamento al vertice di Confindustria. Aggiungiamo le citazioni di un archistar e senatore a vita, Renzo Piano, di Bruno Munari, che è stato «il più eclettico artista-designer italiano», e di George Bernard Shaw, il grande scrittore irlandese, sull’immaginazione creativa. Infine, teniamo conto che, per la prima volta, all’assemblea degli industriali è intervenuto a nome del governo anche il ministro dei Beni e culturali e del turismo, Dario Franceschini.

La Confindustria divaga? No, prova a battere strade e argomenti diversi da quelle che s’immaginano arroccati sulla constatazione che l’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa. Il neo presidente lo fa chiedendo agli industriali di prendere atto del «nuovo contesto» che ha radicalizzato la polarizzazione delle imprese (quelle che hanno innovato e quelle che sono rimaste indietro). Serve un «salto culturale, un nuovo stile imprenditoriale», dice. Cominciamo allora dalle imprese della manifattura, delle costruzioni, dei servizi, del turismo, della cultura. «Imprese che hanno consentito all’Italia di diventare una delle sette grandi potenze economiche, che hanno portato nel mondo la nostra creatività, il nostro saper fare, la nostra bellezza e la nostra conoscenza».

Bellezza, cultura: quanto vale tutto questo e cosa può sprigionare – anche grazie alla collaborazione piena tra pubblico e privato, come ricordato da Franceschini – in termini di crescita del Paese? Proprio il recente rapporto “Italia creativa” (architettura, cinema, arti visive, libri e molto altro) commissionato dal Ministero dei Beni culturali indica in 47 miliardi (2,9% del Pil nel 2014) il valore economico dell’industria della cultura e della creatività. Con un milione di occupati, il 41% dei quali giovani. Un dato che dice già qualcosa ma anche quasi nulla, perché bellezza e cultura generano ricchezza, non solo economica, e s’annidano e si propagano ovunque: nella moda, nelle città darte e negli innumerevoli borghi dell’eccellenza, nel design, nell’agro-alimentare, nell’industria manifatturiera più tipica (storia, conoscenze, innovazione sono fattori di crescita), nel turismo e nell’ospitalità.

In tre parole: “Made in Italy”. «La bellezza diffusa – dice Boccia – è la vera ricchezza dell’Italia. Questo patrimonio noi l’abbiamo ricevuto in prestito e lo dobbiamo restituire. Migliorato, non impoverito». La cultura come motore dello sviluppo: insomma gli industriali sono attesi ad una sfida nuova nel contesto di quel «capitalismo moderno fatto di mercato» che il neo presidente ha messo sul piatto.

Scommettere sulla bellezza, in un Paese che molte quote di brutto ha stratificato in ogni sua piega, non è facile. Ma evocando una sorta di mobilitazione civile che chiama in causa anche gli imprenditori, la scommessa si carica d’intensità sociale. Di fronte al (siciliano) Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Boccia, imprenditore del Sud, ha ricordato che è stata bruciata la casa del giovane e coraggioso sindaco di Licata, Angelo Cambiano che, applicando la decisione della magistratura, sta abbattendo le villette abusive che hanno occupato il litorale. Una storia orrenda di illegalità.

Ci si può domandare se la cultura della bellezza può fare qualcosa di buono. La risposta è sì: può fare molto. Un altro siciliano, Peppino Impastato, il giornalista autore di molte denunce sul degrado, ucciso dalla Mafia nel 1978, scrisse che «Se s’insegnasse la bellezza alla gente, la si doterebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà, facendo sempre rimanere vivi la curiosità e lo stupore».

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