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Una sfida che vale il rilancio del Paese

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L'Analisi|lo scenario

Una sfida che vale il rilancio del Paese

Accettare la sfida della produttività significa molto. Per le relazioni industriali, che sono il “precipitato umano” delle variabili economiche applicate alla vita vera di imprenditori e lavoratori, significa tutto. Soprattutto se il Paese cresce in modo anemico, se convive con l'ombra scura della deflazione, se è al bivio tra sopravvivenza su bassi standard e capitale umano di scarsa caratura o ripartenza su paradigmi più complessi di innovazione e di aumento della qualità del lavoro.

Imprese e sindacati hanno davanti una nuova stagione preziosa di rilancio e di ruolo se sapranno cogliere tutto il potenziale creativo che ha in sé un nuovo negoziato imperniato sullo scambio salari-produttività. Non è uno schema vecchio, come invece ha subito tenuto a precisare Susanna Camusso in risposta alle sollecitazioni suggerite dalla relazione del presidente della Confindustria Vincenzo Boccia. Se fosse così avremmo avuto una storia di creazione di redistribuzione di produttività assai più ricca di quanto non sia stata purtroppo la realtà.

La produttività non è una variabile banale e meccanica come suggerirebbe la sua definizione libresca (la quantità di output economico in rapporto agli input utilizzati nel processo di produzione): è il processo che definisce il modo con cui un risultato sia più della somma delle parti. E non può non essere rilevante il ruolo svolto da capitale e lavoro nel raggiungere quell'obiettivo.

La produttività disegna un Paese. L'Italia ha la produttività totale dei fattori pressoché piatta da due decenni. Il rapporto tra Pil e ore lavorate (uno degli indicatori utilizzati per misurare la produtività di sistema) è fermo da 15 anni. È un problema generale prima ancora che della singola impresa. Non bisogna nemmeno sottacere il fatto che una bassa produttività è stata anche il risultato del mantenimento (oltre i livelli fisiologici) di occupazione di bassa o bassissima qualità e a basso e bassissimo costo; è stato questo lo scambio sociale durato per anni e ha prodotto, ironia della sorte, uno dei più bassi tassi di attività d’Europa, con almeno 10 milioni di esclusi ancora adesso dal mercato del lavoro. Ma ormai quello scambio non è più sostenibile perché messo in discussione dalle spinte dell'economia globale.

Non può più essere questo lo scambio per il futuro. Più produttività, più salario: è lo slogan lanciato ieri da Boccia. È il nuovo scambio virtuoso che serve a un Paese in preda alla crisi del “ceto medio”, bisognoso di trovare una strada maestra per indirizzare gli investimenti e per rilanciare i consumi, affamato di innovazione.

Il dialogo sociale sembra ritorvare una sua nuova ragion d’essere ed è bene non uccidere in culla questo nuovo esperimento. Parlare di produttività significa proiettare nel futuro gli investimenti in asset materiali e non. In questo orizzonte assume un valore particolare e strategico il negoziato sulle nuove forme della contrattazione. Che sia l'impresa il luogo migliore dove le parti possono misurare i risultati raggiunti è fuor di dubbio, è sul luogo di lavoro che si crea il terreno ideale dello scambio. Così come è indubbio che debba essere la produttività il nuovo benchmark cui ancorare la spinta salariale per creare un nuovo equilibrio razionale, in tempi in cui la deflazione crea “dinamiche a rovescio”, con i lavoratori che dovrebbero in teoria restituire gli aumenti percepiti.

In questo nuovo contesto c'è spazio (e rilevante) anche per politiche di incentivazione che, tra l'altro avrebbero il merito di contribuire all'abbattimento del famigerato cuneo fiscale se affiancate a misure strutturali di riduzione del carico fiscale e parafiscale che oggi grava su impresa e lavoratori. Se un negoziato “alto” tra parti sociali e Governo produrrà il ridisegno del profilo fiscale su lavoro e impresa in Italia, la riapertura del dialogo sociale avrà raggiunto un risultato inseguito da decenni e che può cambiare davvero il volto del Paese.

Senza mai dimenticare che nella produttività di sistema c'è anche la velocità con cui si ha un'autorizzazione, il costo di un servizio pubblico, il tempo che serve per avere una sentenza in sede civile, il periodo minimo per avere ragione di un cliente che non paga, l’efficienza della scuola. Ma questo, le parti sociali da sole, non lo possono risolvere.

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