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Roma e Milano, due scontri agli antipodi

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Italia

Roma e Milano, due scontri agli antipodi

Roma e Milano. Due facce del Paese e due scontri elettorali agli antipodi. Nella Capitale delle inchieste e di Marino, i 5 Stelle giocano per la vittoria. Nella Milano di Pisapia e di Expo, i populismi restano un passo indietro.

Non c’è storia per il Movimento di Grillo a Milano. Il ballottaggio qui è un miraggio mentre 500 chilometri a Sud - nella Capitale - la candidata Raggi è data vincente già da mesi. E pure Matteo Salvini che a Roma rompe con il Cavaliere e litiga ogni giorno con Alfano, a Milano rovescia il registro e ai comizi si presenta in coalizione sia con Berlusconi che con l’odiato ministro dell’Interno. Tanto lo critica per la politica sull’immigrazione, tanto ci convive in nome del centro-destra meneghino. Questo per dire che nelle due città, le dinamiche dei partiti sono totalmente diverse, quasi schizofreniche. Quello che a Roma è consentito a Milano non lo è.

E dunque nella città guidata finora da Giuliano Pisapia, con una gestione amministrativa e politica sana, trainata da Expo, con un rilancio delle infrastrutture e soprattutto con un tasso di disoccupazione all’8% - tre punti sotto la media nazionale – l’onda populista non si è gonfiata. I grillini restano due, tre passi indietro mentre a Roma sono in testa alla gara. E non si sono gonfiate nemmeno le intemperanze di Salvini che qui ha fatto i conti con una coalizione e con un candidato che ha messo da parte gli estremismi e il linguaggio populista. Milano, insomma, non è una città che si è prestata alla demagogia. E il leader leghista ha rifiutato di candidarsi, come pure gli chiedevano i suoi compagni di partito, sapendo che la formula di una destra estremista qui non avrebbe attecchito.

E infatti va in scena uno scontro elettorale classico, quasi fuori dalla moda attuale europea e internazionale, dove duellano due schieramenti tradizionali, di centro-sinistra e di centro-destra senza il terzo incomodo populista. E la ragione di questo registro politico così diverso sta in ciò che esprime una città che è sostanzialmente migliorata rispetto al passato, reduce da un evento come Expo – condiviso da tutti i partiti - che una ricerca Sda Bocconi ha calcolato abbia prodotto un Pil pari a 13,9 miliardi, 242mila posti di lavoro in più su base annua.

A Roma, invece, la storia va al rovescio. E l’occasione delle Olimpiadi, nel 2024, viene accantonata dalla candidata grillina Raggi, come ha detto ieri nel confronto tra tutti i candidati su Sky Tg24. Una Capitale “in ritirata”, che chi ha la vittoria in tasca non si sente di immaginarla migliore nemmeno da qui a otto anni mentre Milano con Expo ha potuto trainare investimenti, infrastrutture, una linea di metropolitana in più, turismo, 22 milioni di visitatori. Ecco sulla base di due città profondamente diverse hanno preso forma duelli elettorali agli antipodi. Perché a Roma, con un’economia più in affanno e un tasso di disoccupazione vicino alla media nazionale dell’11%, si torna allo schema di questi ultimi tempi: uno scontro in cui almeno uno dei partiti sfidanti è “populista”. In cui si sperimentano formule politiche opposte. Perché un conto è la destra di Milano moderata e unita, un altro è quella di Roma spaccata un due: da una parte Meloni e Salvini; dall’altra Berlusconi e Marchini insieme ad Area popolare.

Resta il Pd più camaleontico che mai sia da una parte che dall’altra. Un partito che cerca di plasmarsi sulla domanda politica più che dare un’offerta identitaria. E così Renzi a Milano sceglie Sala, il commissario Expo, trasversale più che democratico. E a Roma sceglie Roberto Giachetti, del partito ma non dell’apparato, un radicale, uno che non appartiene a nessuna delle due culture politiche che hanno fondato il Pd. Due candidati decisi con la stessa logica ma per gare completamente diverse.

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