Entro la fine del corrente anno due eventi politici di imprevedibili straordinarie conseguenze possono cambiare la storia dell’umanità.
Si tratta delle elezioni americane alla presidenza degli Stati Uniti a novembre e del referendum del 23 giugno per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (Brexit). Nessuno dei due eventi porta con sé, qualunque ne sia il risultato, neppure una vaga previsione di quali possano essere le reali ripercussioni, sia all’interno sia nella politica internazionale.
Ma di questa incertezza nei due paesi vi è ampia letteratura: molte alternative da qui a novembre restano comunque aperte.
Prima di esaminare il più vicino – anche dal punto di vista cronologico - problema del Brexit, è opportuno tuttavia, a parer mio, considerare che tutto ciò avviene in un assai fluido mutamento dell’intera finanza globalizzata. Questa finora, nonostante l’attenzione prestata ad alcuni settori, manca di una visione di insieme che chiarifichi il complesso fenomeno di profonda trasformazione in atto del sistema capitalistico.
È pur vero che fin dal 2007 si è incominciato a parlare, nell'ambito dei mercati finanziari di “Uncorporation”, come protagonista alternativa alla società per azioni classica (“Corporation”), soggetto tradizionale dei mercati finanziari. Da allora molte cose sono cambiate, causa ed effetto della crisi finanziaria del 2008.
Con l’aiuto delle competizioni regolamentari tra i vari Paesi, dei fondi di private equity, dei vari hedge funds e di tutte le altre strutture equipollenti, sono aumentate le società private a scapito di quelle quotate, assumendo una maggiore importanza nel dominio dei mercati finanziari. Soprattutto negli Stati Uniti, ma non solo, si assiste al fenomeno della diffidenza delle medie e grandi società verso la quotazione; del pari società quotate ricorrono al delisting, come testimonia l’articolo apparso sull’ultimo numero di Fortune dal significativo titolo (in copertina) So Long Wall Street. La trasformazione del sistema capitalistico riguarda in particolare l’offerta e la domanda di capitale e i diversi modi in cui le società producono ricchezza. Ma si espande fino a toccare il sistema bancario, che appare ora incapace a comprendere questa trasformazione.
Il capitale, indispensabile in un’economia industriale basata sulle fabbriche e sui macchinari, ha lasciato il posto al capitalismo dove il capitale e la sua struttura non costituiscono più la base operativa. È bene allora che io faccia riferimento alla conversazione, riportata alla fine de “Il capitalismo moderno” (1916) di Werner Sombart. «Un giorno, parlando con Max Weber sulle prospettive del futuro, emerse la domanda: “Quando finirà mai la danza delle streghe che l’umanità mette in scena nei Paesi capitalisti dall’inizio del XIX secolo?” A questa domanda egli rispose: “Quando l’ultima tonnellata di ferro sarà fusa con l’ultima tonnellata di carbone”».
Eppure oggi la danza continua senza ferro e senza carbone; al capitale sono stati sostituiti i nuovi ballerini, costituiti dalla miriade di strumenti finanziari nati nelle menti algoritmiche di matematici prestati alla finanza. D’altro canto, molte società americane fra le più note, come Apple, Microsoft, Facebook e Amazon, hanno un enorme valore, rappresentato da marchi, brevetti, copyright, beni mobili, piuttosto che macchine industriali e fabbriche e possono tranquillamente fare a meno di nuovo capitale.
Orbene, certamente il Regno Unito si è finora giovato delle sue strutture finanziarie. Domina tra i Brexiters, come vengono chiamati coloro che sostengono la necessità del no, una grande confusione sul futuro post risultato del referendum. Tra i fautori del no ci sono quelli che vorrebbero usare il risultato negativo per un rientro a condizioni diverse, e coloro che invece sono per il no secco, rivendicando il giudizio negativo sull’Unione Europea e l’importanza di una politica nazionalista. Nessuno peraltro sembra temere la reazione della Scozia e il violento contrasto tra i due Paesi che potrebbe ridurre a zero la già scarsissima credibilità dell’economia scozzese.
Ma nell’ipotesi di Brexit la conseguenza difficilmente ponderabile riguarda la sua possibile forza di trascinamento sugli altri Paesi europei, che potrebbero rischiare di vedersi chiedere dai loro cittadini l’identico referendum. Il risultato potrebbe essere un blocco delle politiche dei Paesi europei in mancanza del rinforzamento delle istituzioni europee e di una classe politica di livello. Un’incognita infine da non sottovalutare è che in siffatta confusione chi, con ogni probabilità, sta formulando le sue future reazioni è Wladimir Putin, al quale un’Europa in disfacimento, quale orama i pare present arsi, non può che giovare alle sue ambizioni.
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