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Quale carta per il futuro della Sicilia

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l’anniversario

Quale carta per il futuro della Sicilia

  • –di Giuseppe Verde

Il Palazzo Reale di Palermo, sede dell’Assemblea regionale siciliana, ospita, in alcuni ambienti restituiti all’originario splendore, la mostra «Sulle tracce dell’autonomia», inaugurata lo scorso 26 maggio, in concomitanza del settantesimo anniversario dello Statuto speciale siciliano (approvato il 15 maggio del 1946).

Il materiale raccolto – proveniente da diversi archivi – consente di comprendere che l’idea di una «autonomia regionale differenziata» (per l’appunto speciale) rappresentava la cornice politico-istituzionale che doveva garantire lo sviluppo sociale ed economico dei territori di confine della Repubblica italiana.

Per la Sicilia del 1946, arretrata, povera, lacerata da piaghe sociali come l’analfabetismo e la condizione drammatica di indigenza e sfruttamento del lavoro minorile, l’autonomia era vista come una risposta necessaria ed adeguata a concludere una fase della storia italiana. Oggi ci domandiamo quale sia il valore o, se si vuole, il significato da attribuire alle scelte compiute nel 1946. Non mancano richiami alla mortificazione dell’autonomia regionale e rivendicazioni della piena attuazione dello Statuto. Ricorre spesso, nel dibattito pubblico, l’argomento che l’attuale condizione di crisi sociale, economica, culturale e politica della Sicilia sia dovuta a un “attacco” all’autonomia speciale. Spesso tale argomento è calato entro un modulo narrativo in cui, da una parte, abbiamo lo Stato-tiranno e, dall’altra, la Sicilia-eroina ingiustamente vilipesa e oltraggiata nelle sue prerogative e virtù!

Questo atteggiamento nei confronti della questione siciliana affonda le sue radici anche in questi ultimi settant’anni di autonomia speciale.

Tra il 1946 e i primi anni ’60 la Sicilia registra una crescita significativa. Ma è proprio in quegli anni che la spinta propulsiva dei partiti politici, un tempo paladini dell’autonomia speciale, perde il suo vigore: sono gli anni in cui le istituzioni regionali e nazionali dimostrano la loro permeabilità agli interessi della malavita organizzata e che vedono la Regione Siciliana e le Autonomie locali nella Regione come i collettori istituzionali capaci di condizionare o influenzare le sorti dell’intero Paese.

L’autonomia siciliana così perde il suo significato originario e diventa la forma istituzionale entro cui si creano e si consolidano gangli di potere occulto che legano l’Isola al resto d’Italia e che rendono, ancora una volta, i pubblici poteri nella regione strumento di gruppi d’interesse fortemente connessi con il tessuto criminale. La cronaca giudiziaria, le inchieste politiche, la storia della letteratura e del cinema siciliano del Novecento hanno mostrato, da diversi punti di osservazione, i percorsi che hanno reso il sistema elettorale e i meccanismi di selezione del ceto politico permeabili agli interessi e alle pressioni della mafia.

Pochissime le voci di chi ha provato a sottrarsi a questa logica. Il sacrificio di Piersanti Mattarella e di Pio La Torre – alla cui memoria sono oggi finalmente dedicate due imponenti sale del Palazzo reale di Palermo – segna la storia della Sicilia. Indelebile sarà il ricordo di tutti coloro che hanno lottato e sacrificato la propria vita per la legalità e la giustizia, e di chi – come Padre Pino Puglisi – ha offerto il proprio sorriso come testimonianza dell’impegno quotidiano a servizio degli ultimi contro ogni violenza e sopraffazione. Buona politica e legalità sono le parole che ci raccontano dell’impegno estremo di Uomini liberi e coraggiosi e sono i pilastri su cui si deve costruire il futuro della Sicilia.

Ma, è giusto chiedersi, ci sarà o ci può essere un futuro per l’autonomia speciale siciliana? Chi ritiene che alla domanda non possa che rispondersi negativamente, assimila lo Statuto alla sua attuazione. Colpiscono ancora oggi le parole di Don Luigi Sturzo del 1959: «i siciliani […] fin dai primi giorni presero l’aria di voler ricopiare il Parlamento e il Governo nazionali. Si attribuirono compensi pari a quelli dei deputati e dei senatori a Roma. Mostrarono una larghezza pomposa e costosa […] la Regione, invece di tenere due o tre mila impiegati più o meno senza titolo nei vari dicasteri ed enti, che ha il piacere di creare a getto continuo, ne tenga solo mille, ma contribuisca ad avere mille tecnici di valore […] solo così la Regione vincerebbe la battaglie per oggi e per l’avvenire; sarebbe così benedetta l’autonomia da noi vecchi e dai giovani, i quali ultimi invece di chiedere un posticino nelle banche o fra le guardie carcerarie, sarebbero ’ricercati’ dalle imprese industriali, agricole e commerciali nazionali ed estere».

A questo proposito, credo che il giudizio negativo relativo all’attuazione dell’autonoma speciale siciliana sia unanime. Però, il piano del riconoscimento dell’autonomia, attraverso l’approvazione dello Statuto, va distinto da quello dell’attuazione di tale principio. È l’attuazione dello Statuto che ha leso la dignità dei siciliani; è il patologico funzionamento del circuito della rappresentanza politica che ha trasformato gli elettori in clienti e i cittadini in assistiti; sono le prassi politiche e legislative ad aver avvalorato l’idea che l’autonomia fosse prima di tutto una prerogativa degli apparati politici e burocratici e solo dopo, occasionalmente, una prerogativa della società siciliana.

Oggi il futuro dell’Isola dipenderà anche da quante risorse finanziarie saranno a disposizione delle istituzioni regionali e da come saranno impiegate.

Gli interrogativi cui occorre offrire una risposta sono tanti. Perché attribuire risorse aggiuntive alla Sicilia? Che fine faranno? Perché questo territorio vive una crisi economica, sociale, culturale e istituzionale gravissima, di cui emblematiche sono le fragilità dei servizi per la salute, la persona, l’istruzione, la formazione, la mobilità.

Entro i margini delle scelte costituzionali possibili, si deve ripensare al rapporto tra autonomia regionale e sviluppo tenendo conto del ruolo che la Sicilia può svolgere sul piano geopolitico. La Sicilia è punto di intersezione geografico tra culture e popoli e deve essere centro di gravità politico, nell’area, per realtà istituzionali che poggiano sui principi democratico e personalista e che sono orientate alla garanzia della libertà religiosa e della tolleranza.

Le ragioni dell’autonomia speciale nel 1946 influirono sulle scelte costituenti e contribuirono a caratterizzare in senso regionale il nascente ordinamento costituzionale.

La prospettiva però non era e non è definita una volta e per tutte: rimane aperta la possibilità di un regionalismo differenziato; rimane percorribile la via che potrà condurre a rinvigorire le competenze regionali a condizioni che le regioni abbiano i conti in ordine. Ne è la prova anche il testo della riforma costituzionale che prefigura un ripensamento del ruolo delle Autonomie, mantenendo aperta la possibilità per una nuova autonomia speciale.

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