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Cina-Usa, dopo lo schiaffo patti su moneta e acciaio

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Cina-Usa, dopo lo schiaffo patti su moneta e acciaio

Gli Stati Uniti incassano, al termine della due giorni di dialogo strategico con la Cina (siamo all’ottavo round) risultati sul piano economico che valgono, forse, molto di più su quello strettamente politico. Mentre la sintesi del segretario di Stato John Kerry è stata parecchio piatta («Ci dividono tante cose, però dobbiamo gestire queste differenze») fatta eccezione per il fronte della lotta ambientale, il piatto forte è stato servito da Jacob Lew, ministro del Tesoro Usa: in questi anni di frequenti viaggi in Asia e in Cina, in particolare, ha tessuto una tela finissima che ora dà i suoi frutti, come rivela lui stesso nella conferenza stampa finale organizzata in un Westin Hotel praticamente blindato.

«Sono stati giorni durissimi di discussioni sul fronte del fair trade – ha detto Jacob Lew – il tema centrale è stato l’overcapacity (si veda Il Sole 24 Ore di ieri, con il ministro Lou Jiwei molto scettico sulla possibilità di incidere sulle scelte delle aziende dell’acciaio) ma, alla fine, la Cina si è dichiarata disponibile a un committment, a fare ulteriori passi per rendere la sua industria molto più in linea con le forze di mercato e, nel farlo, a ridurre progressivamente il suo eccesso di produzione. La Cina si è impegnata ad assicurare che le politiche del governo centrale e le misure che adotterà non sosterranno l’aumento della capacità produttiva dell’acciaio, al tempo stesso lotterà contro le società statali zombie con ristrutturazioni e se del caso anche con fallimenti pilotati. La Cina si è dichiarata disponibile a partecipare agli sforzi della comunità internazionale e a denunciare in sede OCSE l’eccesso di capacità e a collaborare con gli Usa per la nascita di un global steel forum». «Un simile accordo – ha aggiunto Jacob Lew a malincuore – non è stato possibile farlo per l’alluminio, anche se Usa e Cina insieme cercheranno di continuare a discutere anche su questo importante settore».

Ma è sulla questione delle riforme finanziarie che gli Usa hanno raggiunto un risultato davvero importante, ieri per la prima volta nella storia (lo ha annunciato Yi Gang, vicegovernatore della Banca Centrale nel suo intervento a Diaoyutai) agli Usa viene concessa una quota di investimenti in renminbi da 38 miliardi di dollari che fa schizzare gli Usa al secondo posto dopo Hong Kong. Molto concretamente Jacob Lew ha puntualizzato: «Adesso aspettiamo di sapere quali banche cinesi saranno autorizzate negli Usa per il clearing del renminbi, un processo che faciliterà l’approvvigionamento di renminbi anche sul fronte opposto, una mossa molto utile per le nostre imprese di medio calibro».

Non solo, Lew ha elogiato quanto la Cina sta facendo rispetto al club di Parigi per la ristrutturazione del debito bilaterale e sulla potenziale membership ma anche sull’International working group per gli export credits, «ci vogliono un segretario generale e nuove linee sugli export credits».

In più ieri il vice premier Wang Yang ha dichiarato che la prossima settimana la negative list da includere nel trattato bilaterale sugli investimenti sarà presentata a Washington, il che darà una spinta alla ripresa del negoziato bilaterale.

Ironia della sorte, tutti questi elementi sono stati rivelati proprio nel giorno in cui la Camera di commercio europea in Cina ha sollevato il velo sulla sua survey annuale realizzata da Roland Berger sul livello di confidenza delle imprese straniere in Cina, denunciando che il 41% delle imprese europee ha in programma di tagliare i costi, anche attraverso la riduzione del personale. Certo, il 47% vuol espandere l’attività, ma questo aspetto rappresenta una diminuzione di ben 39 punti a partire dal 2013, quando uno schiacciante 86% delle imprese europee era ben intenzionato a farlo. Se gli ostacoli per l’accesso al mercato venissero rimossi, i cinesi non avrebbero problemi a ricredersi, dicono. Comunque il 56% degli intervistati segnala che fare affari in Cina è diventato più difficile, il 57% si sente discriminata rispetto a quelle locali. Il 58% degli intervistati afferma che il recente inasprimento dei controlli e delle restrizioni di accesso a Internet ha comportato una perdita di 17 punti dal 2015. Il 70% degli intervistati non si sente più benvenuta in Cina come succedeva dieci anni fa. Il 75% pensa che le riforme cinesi non si stiano realizzando. Il completamento dell’accordo Ue-Cina sugli investimenti è però visto come parte integrante per migliorare il contesto imprenditoriale e ridurre le barriere di accesso al mercato. «Ora le aziende europee devono avere ora una tabella di marcia. Questo darà loro la fiducia necessaria per impegnarsi di più per lo sviluppo futuro della Cina in questi tempi economicamente difficili», ha commentato il presidente della Camera europea Jörg Wuttke.

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