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Dossier Il sonnambulo inglese che cammina verso Brexit

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Dossier | N. (none) articoliReferendum su Brexit

Il sonnambulo inglese che cammina verso Brexit

Lo spettro sui cieli di Londra ha la forma di un populismo senza bandiere, prodotto meticcio di una destra di stampo ultra-conservatore e di una sinistra tanto scomposta quanto estrema. Il concetto, come vedremo, è meno banale di quanto possa apparire ed è all’origine di una crescita del consenso per Brexit che va oltre quanto dicono i sondaggi, ma è ben rappresentato dalle oscillazioni della sterlina, in rapido declino dopo il rimbalzino di maggio. Non scopriamo ora, per intenderci, che la demagogia illumina il cammino dei brexiters, ma le radici di tanta resistenza non sono imputabili soltanto all’euroscetticismo, male endemico in un popolo afflitto da una percezione di sé, nel mondo di oggi, a dir poco eccessiva. Le ragioni di tanta miopia e il ruolo giocato dai media nell’acuirla - tanto da quelli popolari quanto da quelli di qualità - saranno tema di future considerazioni. Oggi, dal regno di Elisabetta II e dall’Inghilterra in particolare esce un’istantanea inattesa e largamente sottovalutata.

A due settimane dal referendum, Brexit appare un rischio superiore di quanto fosse un mese fa, a conferma che il dibattito è impermeabile alla logica dei numeri e all’evidenza dei fatti. Il fronte Leave non è mai riuscito, sul punto economico, a tracciare un quadro se non convincente almeno sostenibile. Non ha neppure scalfito la trincea alzata da Fmi, Ocse, Banca d’Inghilterra, Tesoro di Sua Maestà, per citare solo le ricerche delle istituzioni più celebrate, compatte nel denunciare i rischi del divorzio anglo-europeo. Leave sta vincendo, si obietterà, sull’altro grande capitolo del confronto, l’immigrazione intraeuropea, malamente gestita dal premier David Cameron, generoso nello spendersi con promesse insostenibili. È vero, ma non basta questo per spiegare la tenuta, anzi la spinta dei brexiters.

Sull’umore popolare grava, in realtà, una voglia anti-sistema che va molto oltre i temi-chiave del dibattito, siano essi le conseguenze sull’economia o le politiche sull’immigrazione. Sta emergendo una volontà di frattura che sfugge alla solidità dei numeri, alla linearità logica del contraddittorio, all’essenza stessa del voto.

La voglia di un pronunciamento irrazionale per punire l’establishment, per colpire i banchieri, per frenare le dinamiche globali, cresce come mai prima d’ora non appena si esce dal mondo ovattato di Londra. La capitale stessa, idrovora che succhia le risorse di un Paese intero, è spesso percepita nelle marche del Regno come il nemico da umiliare. È una resistenza spontanea e disorganizzata che abbiamo avvertito emergere con forza fra le voci raccolte lontano dalla City e che si somma all’eurofobia dell’Ukip, all’euroscetticismo tradizionale - quello endemico, appunto – di tanti conservatori e di pochi laburisti britannici. A tutto ciò si deve aggiungere la possibilità che molti elettori vadano alle urne con lo stesso spirito con cui vanno alle amministrative o alle suppletive, ovvero con il desiderio esplicito di punire il governo in carica. Se il referendum di adesione è interpretato come mid-term test per David Cameron c’è, infatti, da aspettarsi un’impennata ulteriore del “no” a Bruxelles. Un rischio aggravato dall’habitus mentale dell’elettore britannico, uso al maggioritario secco, sistema che spesso nega alla maggioranza “reale” la vittoria elettorale. Il referendum si regge ovviamente sul peso di ogni singolo voto.

“A due settimane dal referendum, Brexit appare un rischio superiore di quanto fosse un mese fa”

 

Quello che si profila è dunque la minaccia di una Brexit à la carte, ovvero un’offerta capace di soddisfare tutti. Un boccone all’eurofobo provinciale middle class, un altro all’euroscettico conservatore di antichi e nobili lombi, un altro ancora all’euroscettico laburista poco incline all’internazionalismo, uno al giovane ribelle “anti-tutto”, uno infine all’elettore mosso dal desiderio di punire il premier in carica. Le ragioni per votare “no” rischiano di essere troppe per poterle arginare. Tutti uniti, appassionatamente, da un anti-europeismo diverso e accidentale, frutto per taluni di un’antica convinzione per altri di un impulso casuale.

Un sonnambulo che cammina verso l’abisso, a questo assomiglia Londra in queste ore che credevamo fossero tarde abbastanza per tracciare il profilo di un “sì” consolidato. Un sonnambulo sordo a tutti i richiami, eccetto quelli della pancia dettati, come sono, da un menu variabile che spesso con l’Europa non ha niente a che fare. I rischi di un referendum, si dirà. Certo, i rischi di un referendum che, proprio per questo, non si doveva fare.

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