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L’industria italiana vale più di un bond

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L'Analisi|Italia

L’industria italiana vale più di un bond

Nella libreria della Bce a Francoforte c’è una copia di Lombard Street, pietra miliare sul mercato monetario pubblicata nel 1861 da Walter Bagehot, economista inglese e primo direttore dell’Economist. Nel libro, si dice a Francoforte, c’è una frase che piace tanto all’entourage di Mario Draghi.

Eccola: «Uno dei grandi piaceri della vita sta nel fare quello che la gente dice che non riuscirai a fare». Se si toglie «gente» e si mette «Germania», il gioco è fatto: con il programma di acquisto delle obbligazioni societarie lanciato ieri, il presidente della Bce ha messo a segno l’ennesimo successo personale nel confronto senza esclusioni di colpi con i falchi di Francoforte. Non a caso, il primo (e unico) attacco all’operazione sui bond societari è arrivato proprio da Berlino: il presidente l’Ifo, il più importante centro di ricerca economica in Germania, ha dichiarato che la Bce sarà direttamente responsabile delle ripercussioni negative di un’ulteriore caduta dei tassi di interesse sul mercato primario e secondario e dei gravi danni che il «Corporate Sector Purchase Programme» provocherà sul sistema finanziario europeo. E questo lascia già capire quanto sarà dura la battaglia...

Ma anche se la soddisfazione della Bce è oggi alta, la vera partita da vincere non è con Berlino o la Bundesbank, ma con la crisi economica e finanziaria che da sette anni tiene l’Europa e l’Eurozona in stato di emergenza. In questo senso, la prudenza sugli effetti concreti di questa nuova operazione straordinaria della Bce è altissima. Lo stesso Draghi non perde occasione per ricordarlo: la politica monetaria sta raggiungendo i suoi limiti, servono azioni parallele in campo fiscale e riforme per la crescita. Dall’Europa, dove lo spettro di Brexit spaventa più del Bail-in, non c’è stata risposta. Comprendere il quadro complessivo della crisi e delle misure di contrasto è dunque fondamentale non solo per evitare false illusioni o per coglierne le opportunità. È importante soprattutto per non subire in futuro altri danni, per evitare che l’Italia resti sempre più indietro degli altri.

Tra le righe dell’operazione sui bond societari ci sono infatti messaggi che andrebbero recepiti come un campanello di allarme sul differenziale di competitività finanziaria che penalizza tanto il sistema industriale italiano quanto quello bancario, prigioniero di un drammatico processo di ristrutturazione e costretto a un continuo rafforzamento patrimoniale. A una lettura controluce, è lo stesso programma di acquisto dei bond che lancia l’allarme. Prendiamo per esempio le categorie di obbligazioni acquistabili dalla Bce. Il regolamento stabilisce infatti che la condizione minima necessaria è un rating «investment grade», l’indice di qualità finanziaria che divide il debito «spazzatura» dal debito più sicuro. Ebbene, non solo l’Italia è il paese con il minor numero in Europa di piccole imprese con un rating delle agenzie specializzate (e questo taglia già fuori due terzi della Corporate Italia dalla cessione di bond alla Bce - ma anche quello con il numero minore di grandi imprese che hanno un rating accettabile.È facile prevedere che le aziende i cui bond non sono acquistabili dalla Bce potrebbero essere costrette a pagare interessi ben superiori alla media dei concorrenti francesi e tedeschi sulle prossime emissioni obbligazionarie. Non solo. Quali saranno gli effetti di queste asimmetrie sul mercato secondario dei bond? Che cosa rischiano gli investitori che hanno dei bond «non-investment grade»? È concreto il rischio di un crollo dei prezzi e della liquidità? Domande per ora senza risposta.

Ma il problema esiste e per le aziende italiane sarà bene reagire con la massima urgenza: ottenere un buon rating, dotarsi di una vera governance, rafforzare il patrimonio, controllare il debito e soprattutto avviare processi di quotazione in Borsa saranno sempre più i requisiti-chiave per l’interazione con le istituzioni e gli investitori europei. E questo va oltre il piano-bond della Bce. A meno di difficili (ma auspicabili) retromarce, infatti, le prossime regole del Comitato di Basilea (previste per il gennaio 2017) rischiano di avere effetti devastanti sulle banche e l’industria italiana. Basti pensare che l’erogazione del credito a imprese che non hanno rating costerà alle banche, in termini di assorbimento di capitale, fino al 100% del prestito erogato: in pratica, ogni milione prestato obbliga la banca ad accantonarne un altro. Chi mai darà più credito a una piccola impresa? Non solo. Il credito sarà concesso solo sulla base di modelli di rischio standard sviluppati secondo le caratteristiche prudenziali del Centro-Nord Europa: erogare credito sulla base dei modelli di rischio interni, come fanno oggi le banche italiane, non sarà più possibile. I tempi, insomma, sono stretti. E i problemi da risolvere vanno ben oltre la vendita dei bond alla Bce: senza azioni di contrasto, è sull’industria italiana che si rischia il Bail. E l’impresa, in Italia,è ben più importante di un bond subordinato.

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