
Se per misurare l’efficienza della pubblica amministrazione digitale si prendesse come parametro la carta di identità elettronica, con ogni probabilità la posizione dell’Italia nel panorama europeo sarebbe (se possibile) ancora più critica: da retrocessione. La Cie è, infatti, in uno stato di sperimentazione da quasi vent’anni. Ora il progetto può ripartire, dopo che lo scorso dicembre sono state messe a punto nuove modalità di emissione del documento di riconoscimento. Difficile, però, fare previsioni - visti i precedenti - su quando diremo addio alla vecchia carta di identità.
Se invece della Cie ci si concentrasse sullo Spid - l’acronimo che sta per sistema pubblico di identità digitale e che denota la “chiave” unica in grado di aprire le porte dei servizi dell’intera pubblica amministrazione - ci si può lasciare andare a un cauto ottimismo. Inserita nel codice dell’amministrazione digitale dal decreto del fare (il Dl 69 del 2013), la novità è già operativa. Da metà marzo, quando cittadini e imprese hanno potuto iniziare a chiedere un’identità digitale ai tre gestori finora accreditati, i Pin unici in circolazione sono ora 61mila, con i quali si può accedere ai 237 servizi di nove amministrazioni al momento convertite allo Spid.
L’obiettivo è di avere entro la fine dell’anno tutta la Pa a portata di identità digitale, con 10 milioni di utenti entro il 2017 . Se così fosse, dal dire al fare sarebbero trascorsi solo pochi anni. Un successo, anche se rimarrebbe comunque da convincere i privati a far orbitare i loro servizi intorno a Spid.
La realtà dell’e-government in salsa nostrana sta nel mezzo tra questi due opposti: molte iniziative in cantiere - alcune da diversi anni - che avanzano lentamente. Un procedere a singhiozzo, che almeno, però, adesso va avanti secondo un piano organico delineato dall’agenda di semplificazione della burocrazia approvata dal Governo il 1° dicembre 2014, la cui leva di attuazione sono appunto i servizi digitali.
I ritardi non mancano, ma si comunque si avanza. Si prenda l’Anagrafe della popolazione residente (Anpr), pensata per sostituire gli 8.100 uffici anagrafe dei comuni. Si confida di farla partire entro l’anno, anche se al momento la sperimentazione coinvolge 26 municipi, per un totale di 6,5 milioni di cittadini.
Viaggia più spedita la fatturazione elettronica, con 700mila imprese che hanno inviato più di 35 milioni di documenti agli oltre 56mila uffici pubblici. Altrettanto dicasi per le ricette digitali, che rappresentano il 72% del totale, con un forte incremento rispetto al 26% di fine 2014.
Più a rilento le prenotazioni online delle prestazioni sanitarie(si è passati dal 7% del 2012 al 13% dello scorso anno) e i pagamenti via internet dei servizi pubblici (dal 6% del 2012 all’8% dello scorso anno). E sempre in tema di sanità, il fascicolo sanitario elettronico è operativo in sette regioni e in altre dieci è in via di implementazione. Ci sono, però, tre regioni ferme al palo.
A dimostrazione che la marcia verso l’e-government ha velocità diverse anche a seconda delle parti del Paese.
Nonostante questo gli esperti non disperano. «Negli ultimi mesi - commenta Luca Gastaldi, direttore dell’Osservatorio Agenda digitale del Politecnico di Milano - sono stati fatti molti passi nella giusta direzione e sono state poste le basi per un’efficace attuazione dell’agenda digitale. È vero che manca ancora una politica di investimento coerente, tuttavia le azioni intraprese dimostrano che l’e-government non è più un sogno irrealizzabile».
“Bisogna crederci”, direbbe un coach alla propria squadra con problemi di classifica come quelli dell’Italia digitale.
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