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Esorcismi finanziari ma la politica è senza scudo

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L’EDITORIALE

Esorcismi finanziari ma la politica è senza scudo

Non si vuole fare sorprendere, questa volta, l’Europa. E tanto meno soccombere a speculazione e isteria dei mercati. Per prevenire e al tempo stesso scoraggiare la grande paura di Brexit con la sua carica di destabilizzazioni al seguito, in queste ore e a tutti i livelli si stanno approntando gli strumenti dei più sofisticati esorcismi finanziari.

La mobilitazione è generale, coinvolge i Governi, con Bce e Fmi in prima linea. Ne hanno parlato ieri a Lussemburgo i ministri delle Finanze dell’Eurogruppo nell’ultimo incontro prima del referendum inglese del 23 giugno, per concordare gli ultimi dettagli delle operazioni. E ribadire l’invito a restare.

Con una ripresa fragile, la deflazione in agguato, le Borse in altalenante discesa, la vulnerabilità del settore bancario, bund e simili in territorio negativo, di sicuro nessuno può permettersi di rischiare lo scontro a mani nude con uno shock finanziario incontrollato.

Sullo shock politico, altrettanto inevitabile in caso di divorzio ma non altrettanto immediato, per ora si preferisce invece glissare: scaramanzia, malriposto senso del pudore, confusione di idee e di intenti, banale incapacità di reagire a breve, impotenza consapevole, difficile dirlo.

Forse la scarsa voglia di guardarsi allo specchio, di provare a penetrare le ragioni profonde della propria crisi di identità e delle spinte centrifughe che alimenta, non viene da una scelta di vigliaccheria e disimpegno collettivo ma nasce da un soprassalto di lucidità, di spietato cinismo.

In questo momento l’Europa sa di non essere in grado di riaggregarsi ma solo di disaggregarsi: sempre meno la fiducia reciproca, la solidarietà e i minimi comuni denominatori, sempre più le crepe nella stabilità politica dei suoi Governi, più populismo, nazionalismo e euroscetticismo nelle sue democrazie provate da una lunga crisi economica e sociale. Meglio dunque non scavare troppo tra gli istinti perversi generali, affidarsi alla corrente degli eventi e aspettare (anche le elezioni francesi, olandesi e tedesche dell’anno prossimo) per non rischiare, con un precipitoso esercizio di volontarismo a tavolino, di rompere il giocattolo invece di ripararlo. O di provocare tragici gesti inconsulti, come quello che ieri a Londra ha falciato la prima vittima politica di Brexit e dell’intolleranza che alimenta.

Questa inedia europea per certi aspetti virtuosa, in quanto figlia della brutale constatazione dei propri limiti, trova la sua giustificazione anche nella sorda guerra interistituzionale che da troppo tempo tormenta l’Unione. I suoi cittadini non riescono più a percepire l’Europa come il gigante buono che distribuisce pace e benessere. La vedono piuttosto come un Moloch invasivo e troppo esigente. Con un gran paradosso: i loro Governi hanno un atteggiamento identico verso le istituzioni comuni, che pure essi stessi si sono dati e alle quali hanno delegato poteri esclusivi e indipendenti.

È questa sconcertante identificazione di sentimenti tra base e vertici, l’ansia generale di riappropriarsi della sovranità fin qui ceduta e comunitarizzata, a paralizzare l’Unione sfaldandola a poco a poco. “Brexizzandola” a prescindere, indipendentemente dal destino di Brexit.

Gli esempi, quasi quotidiani, si sprecano. Il più eclatante è il rapporto tempestoso tra la Bce di Mario Draghi e la Germania, con il primo costretto a rintuzzare gli attacchi della seconda sventolando i Trattati e la propria indipendenza per statuto. Meno vistoso ma anche più insidioso il rapporto tra Governi e una Commissione Ue che negli anni, a differenza della Bce, ha ceduto terreno, trasformandosi da organo di iniziativa legislativa e di mediazione tra posizioni e interessi nazionali conflittuali in istituzione subalterna, notaio della deriva intergovernativa europea.

Quando prova a rialzare la testa, come spesso avviene con la squadra Juncker, viene subito richiamata all’ordine. Accadde l’estate scorsa nel pieno di Grexit. E ora con le critiche aperte alla sua gestione interpretativa, troppo libera e politicizzata a detta di tedeschi e olandesi, del patto di stabilità. Mano troppo morbida con Spagna e Portogallo che non rispettano le regole anti-deficit. Con l’Italia su flessibilità e debito, come pure il Belgio, accusa a voce alta il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Meglio sostituirla con un organo indipendente che applichi automaticamente le regole, minacciano da tempo i tedeschi.

Non è solo il consenso: anche le strutture europee vanno dunque lentamente sfarinandosi nella complice distrazione dei più. Per questo gli ammortizzatori finanziari anti-Brexit oggi sono indispensabili ma non bastano: in assenza di quelli politici si limiteranno a tamponare i contraccolpi dell’ennesima crisi mal gestita, che andrà da aggiungersi all’arsenale europeo prossimo alla saturazione.

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